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Diana Krall – The girl in the other room
(Verve/Universal)




Sposando Elvis Costello la pianista e cantante Diana Krall si è salvata da una carriera tutta decisa da discografici e manager. Che volete che lui non le riveda le canzoni che la bionda Krall ha iniziato a scrivere sin da questo “ The Girl in the other room “ (Verve) tra una partecipazione a un disco dei Los Lobos e un concerto in duo in Italia ? La Krall, che tutti alla Universal ci volevano propinare come pianista jazz con questo disco si sposta infatti verso territori cosiddetti “crossover “ dove cioè si possono trovare pubblici di differenti provenienze culturali, sociali e di età. Specialmente in America questo spostamento è molto più complesso che in Europa perchè più ampia è la forbice di differenza fra l’altoalto e il bassobasso, ma chi ci riesce vince la partita e resta in testa almeno per un po’.

Non poteva essere altrimenti, se ci pensate bene: visto il successo di Nora Jones, che è della Emi, ai piani alti della Universal hanno pensato bene di mettersi sulla scia e, semplicemente (tanto l’artista è d’accordo o non conta un cazzo !), corretto il tiro; così, come la Jones, che con il secondo album ha sterzato nettamente verso il country poichè qualcuno che di musica se ne intende deve aver spiegato ai suoi discografici che il jazz è altra cosa, la Krall si è spostata verso il cantautorato dotto (Waits, Joni Mitchell, Costello, guarda caso…) affidando l’incipit dell’album a una grande canzone di Mose Allison,”Stop this World”, dal testo, ahimè!; sempre attuale. Questo travaso culturale e musicale è avvenuto senza troppi traumi grazie a Costello che ha scritto i testi delle canzoni originali e che, abituato a dirigere la baracca piuttosto che a farsi dirigere, ha trovato il giusto setting per la moglie coscialunga.

Quelli però che un pò di musica ne masticano conoscono i trucchi sanno che se una cantante bianca giovane interpreta nel 2000 “Love me like a man “ del bostoniano Chris Smither, portata al successo negli anni settanta dalla rossa Bonnie Raitt (la cui interpretazione resta inimitabile) , è perché punta al pubblico adulto, (quello che Billboard identifica nelle classifiche album oriented, middle of the road) e tende a rivestirsi da blueswoman con il passaporto della credibilità appena rinnovato. D’altronde “Love like a man” la aveva cantata anche Susan Tedeschi poco tempo fa partendo da un presupposto differente e cioè scrostarsi la patina da ragazzina casinista del blues ma ugualmente per raggiungere il popolo del “crossover“, pubblico spesso passivo che acquista i dischi con il carrello dello spesa. Ci è riuscita la Tedeschi ad attraversare il guado? direi di sì. Adesso incide per la Artemis (l’etichetta di Warren Zevon, una forte indipendente) si è sposata al giovane Derek Truck, della ampia famiglia Allman, canta canzoni di Dylan, ha un bimbo, suona nel giro delle jam band che è pur sempre un bel giro e anche se raccattasse le briciole dovrebbe solo dire grazie.

Con la Krall lo spostamento è più sfaccettato poiché, incidendo per uno dei colossi della discografica entrano in gioco altri fattori e tutti vanno considerati e calibrati in un gioco sottile di politica musicale:, il marito Elvis Costello ha contratti differenti per ogni suo prodotto (l’ultimo, “North”, veramente mesto, era su Deutch Grammophone !, quello primo su “ Verve”), il management della Krall è molto serio e ha voce sul mercato Canadese, alle sue spalle di Diana ci sono due vecchie volpi come Tommy LiPuma (presidente della Verva) e il suo fido braccio destro Al Schmitt che conducono un gioco parallelo con Arif Mardin (che produce Norah Jones!) fatto di rimandi vecchi trent’anni. Tutte queste variabili sono rispettate in “The girl in the other room “ che, sulla scia di così tanti ingredienti da usare, poteva essere un disco da dimenticare (ce ne sono tanti di dischi che sono da dimenticare per i succitati motivi oggidì!) e invece è un album onesto e che potrà mettere la Krall in carreggiata per un futuro da tenere d’occhio. Merito soprattutto dei musicisti del calibro di Neil Larsen all’organo, Peter Erskine alla batteria, Christian Mc Bride al contrabbasso, Anthony Wilson alla chitarra che sono tutti concentrati sulla musica mentre – me la vedo – lei è nel bel mezzo di estenuanti riunioni. Sono loro il segreto di questo disco che lo fanno vivere e respirare le canzoni creando il giusto background alla voce di Diana che certo non si sciupa e al suo tocco pianistico ancora non particolarmente riconoscibile.

Sicuramente il vecchio Tommy LiPuma glielo deve aver spiegato a Diana che ad allargarsi troppo oggi si perdono ascoltatori, non se ne guadagnano, e lei, che è una che capisce, ha fatto il minimo indispensabile per volare col vento in poppa e permettere ai discografici la convergenza altrove.

La Krall però deve ammettere che aver incontrato Elvis Costello e averlo convinto a lasciare quella donna di gran talento che era Cat O’Riordan , già dei Pogues, sua precedente compagna, è stata una bella botta di culo!. Ma i tempi della Riordan erano altri tempi e Costello, forse, un altro o, solo, Delan McManus (suo nome di battesimo).
E poi, che vuoi mettere una brunetta irlandese ultraquarantenne a confronto con una ubertosa, bella e intrigante biondona venticinquenne canadese dagli occhi blu?

Ernesto de Pascale



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