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Eugenio Finardi - Bluesman
Abbiamo incontrato Eugenio Finardi in occasione della pubblicazione dell’album Anima Blues e abbiamo raccolto le sue dichiarazioni. Eugenio ha parlato schiettamente e si è raccontato ai lettori de Il Popolo del Blues.
Per prima cosa gli abbiamo chiesto quando nasceva il Finardi Bluesman di quest’ album.
“Eugenio Finardi è un Bluesman, il cantautore Eugenio Finardi è stato solo il suo incidente di percorso. Un incidente durato 35 anni ma pur sempre un incidente. “Musica ribelle “ funzionò e l’incidente prese il sopravvento…”
Per comprendere più a fondo l’affermazione di Eugenio si dve tornare indietro alla scena milanese fra i sessanta e i settanta…
“Nei primi anni settanta a Milano la Milano Blues esisteva davvero : Peppo Gagliardi, la Corso Sempione Blues Band, Il Pacco, Camerini e poi questo straordinario armonicista di cui tutti parlavano ma che nessuno conosceva perché abitava a Milano Sud, che per noi dell’altra parte della città era un altro mondo, Fabio Treves.eravamo sedicenni, diciassettenni e vivevamo per i dischi che ascoltavamo. La scena venne consolidata da Gianni Sassi con la nascita della Cramps che non presentava solo l’alternativa ragionata ma anche quella emotiva. Perciò, a fianco dei dischi degli Area con Demetrio ( uno che il blues lo cantava davvero e lo insegnò a tutti ) c’erano i dischi di Roberto Ciotti, il bluesman romano che portò alla Cramps una immagine più rigorosa del blues. Per noi milmanesi il blues erano i Rolling Stones che avevamo visto nel 1970 a Milano con Buddy Guy e Junior Wells ad aprire il concerto, il blues erano i Led Zeppelin che suonavano Willie Dixon, era Johny Winter che suonava Muddy Waters e poi Mike Bloomfield, Al Kooper, i dischi delle Supersession. Scoprimmo che c’erano altri appassionati in città e che un certo “giro” esisteva, fu una bella sensazione. Era un momento di grande scambio e condivisione: c’erano viaggi in Veneto, la conoscenza con altri oscuri appassionati come Guido Toffoletti a Venezia che era andato a Londra per stare contatto con Alexis Korner e altri di quelle parti come Chris Cornelius.”
Chi è, quale è, la tua generazione?
“In fin dei conti io appartengo a una generazione che voleva fondare il rock italiano ma che non ci riuscì. Il motivo? era troppo presto per suonare rock con una identità e troppi i cambiamenti intorno a noi e gli stimoli. Si sarebbe dovuto attendere la fine di quel decennio perché ciò avvenisse prima con Bologna (i cui molti gruppi vennero distribuiti da Sassi e dalla Cramps) e poi con Firenze.”
Ed oggi ?
“Dopo 35 anni mi sono guardato allo specchio e ho capito che il cantautorato non mi dava più stimoli, che continuavo a sentirmi uno spirito libero, che la differenza fra l’Eugenio Finardi cantautore e L’Eugenio Finardi Bluesman si era assottigliata. Il mio filone autorale si è, al momento, esaurito. Oggi voglio cantare il mio blues; niente a che vedere con i neri e gli americani. Un blues dalla scansione lenta, più roots, viscerale. Più palude, meno Chicago, più Mississippi. Non riesco a definire o a trovare una spiegazione a perché la musica che oggi di più sento è blues. Mi viene così. Anche nelle mie canzoni l’inflessione veniva alla luce, non ho mai nascosto quest’amore.“
Quando hai preso questa decisione ?
“ La decisione presa è stata solo il risultato di molto tempo passato a contatto con il blues ma se è accaduto adesso è perché c’è stata come una l’illuminazione, per usare una figura retorica è stato come quando re incontri a cinquant’anni una ragazza che di cui eri innamorato a diciotto, la vedi è pensi che è ed è rimasta lei la donna della tua vita…”
Molti nell’ambiente della critica blues, si pongono il problema della contemporaneità del blues. Eugenio, tu che nel comporre canzoni e nel tuo essere cantautore più o men incidente su un mercato questo problema lo hai giocoforza dovuto affrontare in altri ambiti, cosa pensi?
“ Non mi pongo il problema se il blues è contemporaneo o meno. Ritengo solo che ogni qualvolta la cultura moderna si è persa essa è tornata al blues, come punto di partenza di un recupero contenutistico e in questo il Blues svolge una funzione importantissima di punto di riferimento.”
Cosa si può fare per il blues oggi ?
“Il compito di chi lo suona oggi è portarlo avanti, spingere il blues verso il futuro e la composizione originale è il primo modo. E’ una musica che per la sua semplicità dà la possibilità a tutti di cimentarsi nella scrittura ed esplorare. Ciò che più spero è che non si canonizzi, ma questo dipenderà molto dagli autori e dalla loro voglia di rischiare.”
Intervista di Ernesto de Pascale
26.5/05
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