. L’Altra America vol. 2

SPECIAL

L’Altra America vol. 2
Deeper into the American alternative musical scene




Introduzione

Sono passati tre mesi da quando il Popolo del Blues, nel Febbraio 2006, pubblicava il primo special dedicato alla scena musicale alternativa americana. Fresco da un lungo viaggio da est a ovest dell’America e ritorno, Ernesto De Pascale aveva testimoniato in prima persona l’esistenza di una scena americana alternativa tutta dedicata a free-folk e acid-folk, musica acustica e psichedelica.
Avevamo passato in rassegna, con una carrellata di recensioni, album di gruppi come Wooden Wand and The Vanishing Voice, Jackie O-Motherfucker, Lavender Diamon, Fursaxa, Gris Gris.
L’impressione che questa scena musicale aveva dato era quella di essere in grande fermento e complice sicuramente la libertà formale dello stile musicale che molti dei gruppi in questione prediligono, di essere molto produttiva in termini discografici.
Bene, a distanza di tre mesi ci siamo proposti di tornare a indagare sulle novità in questo ambito musicale, per verificare se l’esistenza di un’autentica e feconda scena fosse solo un falso allarme o se, come avevamo ipotizzato, qualcosa avesse continuato a muoversi. E ciò che abbiamo scoperto è che molte cose si sono mosse.


Jackie O’Motherfucker

A distanza di tre mesi l’attenzione attorno a questo stile musicale free-form è cresciuta, la stampa internazionale ha riservato a questi gruppi spazi importanti, qualcuno ha tentato di racchiuderli tutti entro lo stesso recinto di una definizione musicale di genere.
Che dare una definizione sia appropriato o meno, visto l’eclettismo della produzione, siamo senz’altro d’accordo nel tentare di leggere questi gruppi in un’ottica complessiva. Ecco come è nata la volontà di tornare a scoprire, questa volta più approfonditamente, cosa sta succedendo nell’America musicale che vive lontana dalle luci del mainstream, quell’America che per la seconda volta ci permettiamo di definire “l’altra America”.

The American Primitivism

Che cosa accomuna gruppi come Wooden Wand and the Vanishing Voice, Six Organs of Admittance, Tarantula A.D.? Certo la loro propensione per lo sperimentalismo musicale e la volontà di esplorare forme musicali libere, ma questo ha accomunato negli anni moltissimi movimenti musicali. Di fronte ad album come Bitches Brew di Miles Davis (1969) o A Love Supreme di John Coltrane (1964) limitarsi a parlare di superamento delle convenzioni musicali sarebbe decisamente troppo poco. E non si può dire neanche che questi gruppi abbiano inventato tutto da zero, visto che sempre in termini di rottura con le convenzioni musicali non è difficile trovare un anello di collegamento tra il free jazz di Ornette Coleman e la musica di un gruppo come The Sunburned Hand Of the Man, altro esponente della attuale scena alternativa.
Un’immagine recente di John Fahey

La stampa inglese, che come qui in Italia osserva il fenomeno dall’esterno, ha provato a riunire le caratteristiche comuni di questi gruppi, identificandoli con il nome di “American Primitives”.
Ma The American Primitivism non è certo un nome nuovo per chi ha memoria storica degli anni Cinquanta, Sessanta e a seguire e per chi conosce bene la musica di John Fahey, Leo Kottke, Robbie Basho, Peter Lang.
John Fahey, nato nel 1939 nel Maryland (USA) e celebre chitarrista di finger-picking, fu il primo ad utilizzare il termine “American Primitive” per le nuove frontiere musicali che, fin dalla fine degli anni Cinquanta, aveva creato per il finger-picking e per la chitarra acustica grazie alle sue sperimentazioni musicali.
Eclettico sperimentatore, John Fahey attinse al blues dei decenni precedenti, alla musica tradizionale, alla musica indiana e non solo, dimostrando come attraverso l’evoluzione del finger-picking si potessero esprimere idee musicali del tutto non convenzionali.
Cresciuto ascoltando vecchi 78 giri, sua principale fonte di istruzione, Fahey utilizzò il termine “American Primitive” sopratutto per riferirsi alla matrice completamente autodidatta della sua musica. Dall’ascolto della musica che amava Fahey ricavò la tecnica che, fondendo con il suo amore per la musica colta Europea e per altre svariate influenze, lo portò ad aprire sconosciuti orizzonti per la chitarra.
Il chitarrista Peter Lang, che annovera Fahey tra le sue principali influenze, così si è riferito al concetto di American Primitive : “Le persone New Age lo chiamano folk. Quelle folk lo chiamano new age, ma in realtà non è nessuna delle due cose. Lo stile deriva dal country blues degli Anni 20 e 30. (…) Fahey si è riferito ad esso come “American Primitive” facendo riferimento ai “French Primitives” in pittura, e intendendo dire autodidatta”.
E così come nell’ “American primitive guitar”, spesso anche nel jazz si sono tracciati ponti di collegamento con il “primitivo” e si è dissertato sulla sua importanza nell’origine di questo genere musicale.


Here come the (New American) Primitives!

Certo non è difficile intravedere un legame tra l’accezione originaria del termine “American Primitive” e i nuovi gruppi Americani.
Intanto il concetto di “autodidatta” si lega abbastanza bene all’idea di una musica che non si vergogna di far uso, anzi sfoggio, di tecniche “fai da te”. Questo vale per l’uso degli strumenti così come per la composizione. Anzi, nelle improvvisazioni free-form di gruppi come Fursaxa, Jackie O-Motherfucker, Wooden Wand and The Vanishing Voice, spesso sembra proprio che ognuno imbracci gli strumenti e faccia un po’ quel che gli pare. Gli imperativi sono nonchalance, ispirazione, voglia di far confusione tutti insieme, di condividere il momento catartico ( caratteristiche che hanno valso ai musicisti e alla loro musica spesso la definizione di freak).
Una musica che non si impara e una musica che non si insegna, visto che non sarebbe proprio possibile tracciare uno spartito dei deliri strumentali di queste bands, farlo leggere a qualcuno e, soprattutto, far sì che dalla sola lettura della parte lo suonasse nella stessa maniera. C’è una certa “oralità” nella musica di questi gruppi, un cogliere istintivamente l’attimo - e in questo caso registrarlo - che con l’idea di “primitive” va perfettamente d’accordo.

Wooden Wand and the Vanishing Voice

Su come il termine “American” si adatti a questi gruppi c’è poco da dire: sono tutti americani ! Ma è suggestivo anche interpretare il concetto di “American” in relazione alla caratteristica dell’America di essere da sempre un meltin’-pot di culture e popolazioni diverse, un porto di mare dove confluiscono persone dalle origini più disparate. E questa idea di meltin’-pot tra influenze diverse si riscontra perfettamente nella musica di questi gruppi, in grado di spaziare dall’arrangiamento di un traditional di americano ( Jackie O-Motherfucker) a echi di Microcosmos di Bela Bartok ( Six Organs of Admittance), sempre all’insegna di un filo conduttore comune.
Certo, è un’interpretazione a posteriori, ma non si può negare che si adatti particolarmente bene. Forse non è per caso che, tra tutti i luoghi del mondo in cui poteva nascere, questo andirivieni di bands abbia preso corpo proprio in America.

Bang on drum!

Molti probabilmente, almeno per un secondo, avranno associato all’idea di “primitivo” in musica quella di un nostro scimmiesco antenato che, seminudo nella sua caverna, percuote un tronco cavo con la clava.
Bene, per quanto questa sembri più un’immagine tratta dai Flinstones che una considerazione musicale, non è affatto fuori luogo.
Cominciamo col dire il tamburo e gli strumenti a percussione, di qualunque natura essi siano, hanno per le culture indigene la valenza di strumento di comunicazione. E’ anche in questa chiave che i poeti della beat generation interpretarono l’importanza del “beat”. Il tamburo era stato uno strumento di comunicazione alla pari di ciò che, negli anni ’60, erano i loro reading di poesie. Ginsberg parlò esplicitamente di “beat of drums”. E per ricollegarsi al be-bop del già menzionato Miles Davis, che insieme a Charlie Parker fu uno dei jazzisti più osannati dai poeti della beat generation, il legame con il “beat” della loro musica fu uno dei significati più evidenti correlati al nome “Beat Generation”.
L’idea di tamburo nel jazz, inoltre, è importante. Basti pensare a Duke Ellington che nel 1956 realizzò un album intero dal titolo “A Drum is a Woman” ( “il tamburo è una donna”).

Duke Ellington – A Drum is a Woman

Nei gruppi della nuova scena alternativa americana l’utilizzo di percussioni e ritmi tribali è praticamente una costante e una caratteristica molto evidente. In questo senso l’aggettivo “primitivi” non poteva essere più appropriato.
La caratteristica si ritrova in molti gruppi, non fosse altro che per il fatto che spesso le libere improvvisazioni strumentali richiedono una base ritmica a cui appoggiarsi. Alcuni esempi in questo senso sono molto significativi.
Cominciamo da August Born (Drag City – recensione su Il Popolo del Blues, Ott 05). August Born è l’album di debutto di un progetto, dallo stesso nome, ideato da Ben Chasny, leader dei Six Organs Of Admittance, uno dei primi gruppi di questo genere musicale di cui si è sentito parlare in Italia.


Per dar vita a un side project del suo già fortunatissimo progetto principale, chi ha scelto Ben Chasny? Ha scelto un percussionista giapponese, Hiroyuki Usui. Messi in contatto da un giornalista, i due hanno registrato le loro parti nei loro rispettivi paesi, praticamente senza incontrarsi. Sull’album aleggia una totale confusione, in mezzo a cui una larga importanza viene data agli elementi percussivi.

Citiamo anche due esempi tra le uscite discografiche più recenti.
Il primo è No-Neck Blues Band and Embryo – Embryonnck (Staubgold).
La No Neck Blues Band, attiva dal 1992, è una delle più interessanti ed eclettiche realtà Newyorkesi. Embryo è invece una delle band storiche del kraut rock, in grado di fondere nella propria musica elementi etnici con un sound rumoristico e spaziale. E in questo buon disco, specialmente nel brano di apertura dal titolo Wieder das este Mal, è possibile riconoscere un sound di percussioni che evoca atmosfere primitive e tribali. L’album è un roboante mantra che più che evolversi gioca su elementi ripetuti, in cui si fondono folk, psichedelia, free jazz e soprattutto in cui confluiscono le diverse cifre stilistiche delle due bands. E non è un caso che ad associarsi alla No-Neck Blues Band per questo disco sia stato un gruppo di kraut rock, perché dal punto di vista musicale le analogie tra i gruppi nuovi underground americani e i gruppi del progressive rock tedesco anni Settanta non mancano affatto.

Un altro album che per il suo aspetto ritmico colpisce è l’ultimo lavoro di The Sunburned Hand of a Man, dal titolo Complexion (Cargo).

Varie voci autorevoli della stampa li hanno definiti come uno dei gruppi migliori di questo genere musicale. Nella loro musica c’è da scordarsi qualsiasi traccia di melodia. E’ un fluire di coinvolgenti improvvisazioni ostiche e rumorose, con suoni di chitarra trattata che ruggiscono e ondeggiano. Sotto, come una bomba a orologeria che sta per esplodere, un ticchettio ritmico nervoso e costante, che tanto salta agli occhi per la sua prepotenza al primo ascolto quanto diventa indispensabile via via che si scende tra le pieghe più nascoste dell’album ( il brano defacing the facts è l’esempio più eclatante). A metà tra ensemble e community, i Sunburned of the man hanno pubblicato un quantitativo esorbitante di album, 36 dal 2001 ad oggi tra LP, cassette, CD, Cd-R limited edition.

Il caso Wooden Wand

Anche Wooden Wand and the Vanishing Voice, ensemble free folk avanguardistico di New York guidato da James Toth, in termini discografici si danno da fare. Mentre viene ristampato dall’etichetta Trouble Man Unlimited un loro album del 2003, XIAO, arrivano in Italia i loro più recenti album nuovi, Buck Dharma (5RC) e Gypsy Freedom (5RC).


Wooden wand and the vanishing Voice – XIAO (Trouble Man Unlimited)

La musica di Wooden wand and the Vanishing Voice è un magma di suoni e frequenze basato sull’improvvisazione in cui a volte è difficile trovare differenze e analogie da un album a un altro. XIAO, però, sembra che qualcosa di speciale e di diverso dal resto della loro produzione lo abbia, per quanto altri capitoli della loro discografia siano forse più belli. Per cominciare, rispetto alla produzione attuale (The Flood, Buck Dharma) la band sembra più discreta e morigerata, più minimale. Specialmente nella prima parte del disco Wooden Wand and The Vanishing Voice sfruttano più che mai l’effetto tappeto sonoro, evitando di imporre elementi che facciano da protagonisti e continuando piuttosto a produrre un incessante rumore di fondo.
Nell’ottimo Caribou Christ in The Great Void, ad esempio, il gruppo sceglie di far forza su ronzii e vibrazioni minime. Ottimo anche il terzo brano, Weird Wisteria Tangles carrion Christ But Intends no Harm, un completo non-sense noise sperimentale in cui confluiscono rumori quotidiani intercalati da melodici interventi di flauto e violoncello. Procedendo nel disco l’angoscia si insinua con il quarto brano, inquietante come la colonna sonora di un film horror e in cui la parte vocale si alterna a sinistri respiri come nella registrazione di una telefonata con Darth Vader, il cattivo di Guerre Stellari. Il volume cresce e la confusione torna a farsi sentire verso la chiusa del disco, dove c’è una maggiore componente musicale.

Wooden wand and the vanishing Voice – Buck Dharma (5RC)

Che cosa lega il rock dei Blue Oyster Cult, band Newyorkese celebre soprattutto per i suoi dischi degli anni Settanta, e Wooden Wand and the Vanishing Voice? Una città, New York, e soprattuto un nome: Buck Dharma.
Per i primi è il nome di uno dei componenti (Donald "Buck Dharma" Roeser), per Wooden Wand & co. è il nome di un album. Un ottimo album, uno dei migliori della loro discografia.
Buck Dharma è meno scarno di XIAO (2003) ma meno rumoroso di The Flood (2005), una giusta via di mezzo in cui la band mantiene salda la sua affezione per rumori e bordoni in sottofondo ma li accompagna con vari tentativi armonici. Ne sono l’esempio Hideous Whisker & His Woman, in cui su un vibrante tappeto di fondo si liberano I guaiti di una chitarra blues, oppure il cantato di Risen From The Ashes che ha l’aria di uno scheletrico spiritual, oppure ancora I Am The One I Am & He Is The Caretaker Of My Heart che è uno dei brani più melodici e interessanti dell’album, un misto fra un blues minimale e un raga indiano.
Se con brani come l’ultimo citato Wooden Wand and The Vanishing Voice sembrano raccogliere l’eredità di alcune comuni freak degli anni sessanta come gli inglesi Quintessence, con molti altri nel corso dell’album ( il rumoroso Owl Fowl ad esempio, l’ottimo Spear of Destiny) il gruppo sembra proseguire come mai così marcatamente nella loro discografia la strada tracciata da vari sperimentatori del Kraut Rock tedesco negli anni ‘70 ( Can, Amon Duul II, Ash Ra Tempel). Veramente il capitolo della loro discografia che a questo genere musicale deve di più. Ottima anche la conclusiva Wicked World. Ad oggi Buck Dharma è, insieme a Gypsy Freedom, il lavoro più completo ed intrigante firmato da Wooden Wand and the Vanishing Voice.

Wooden Wand and the Vanishing Voice – Gypsy Freedom (5RC)

Sembra che negli ultimi tempi Wooden Wand and The vanishing Voice abbiamo deciso di mettere sempre più a fuoco la loro produzione. A volte il punto debole di questi gruppi è l’incapacità di dosare e calibrare l’esplosione creativa, con album di lunghe improvvisazioni fatte bene ma un po’ abbandonate al caso. Wooden Wand and The Vanishing Voice stanno invece dimostrando di maturare un certo gusto per la scaletta, per la scelta e l’accostamento dei pezzi e per la godibilità complessiva dell’album, caratteristiche che non in molti curano e che danno alla band una decisiva marcia in più. Già in Buck Dharma avevano maturato il gusto per la melodia, che qui portano avanti con brani cantati come “Don’t Love the Liar” ( compatto e breve come un singolo), o la bellissima Dread Effigy (cantautorale e malinconica, sembra quasi un traditional). Il brano di apertura “Friend , That Just isn’t so” è qualcosa di nuovo per il gruppo, forse mai sperimentato. Si tratta di un testo cantato ed eseguito solo da voce e sassofono, in uno scarno dialogo dal sapore free jazz che fa coppia, come in un cerchio che si chiude, con il conclusivo “Genesis Joplin” per voce e percussioni. Chiaramente non mancano le parentesi strumentali libere, trade mark del gruppo, in cui la band sa fondere magistralmente blues e influenze della musica orientale ( Didn’t it rain, Hey pig he stole my sound). Anche i brani più melodici si distinguono per un sound molto personale e carico, con un costante fluire di ruggenti intrecci musicali sullo sfondo. L’alternanza melodico/ sperimentale e la riscoperta del blues permettono a Wooden Wand and The Vanishing Voice di realizzare album che sono i migliori nel loro genere, con Gypsy Freedom che va direttamente a fare compagnia a Buck Dharma tra i migliori due album della loro discografia.


Back To the European Roots

Nel parlare dei vari gruppi, sono venute fuori molte delle loro influenze, dalla psichedelia californiana anni ’60 alla musica tradizionale indiana. E’ doveroso aprire una piccola parentesi per citare anche dei “predecessori” un po’ inaspettati se si considera l’area geografica da cui questi nuovi gruppi americani provengono, ovvero i musicisti del kraut rock tedesco Anni’70. Questi antenati sono venuti alla luce più che mai parlando di Buck Dharma, dove la loro influenza è più evidente che altrove. In particolare nei nuovi gruppi è riconoscibile l’eco di bands come Can, Tangerine Dream, Amon Duul e Amon Duul II, Ash Ra Tempel, Faust. Se dai Can gruppi come Wooden Wand and The Vanishing voice o Six Organs of Admittance riprendono il gusto per la spermentazione associato a minimalismo e senso del ritmo, sono in molti a recuperare la sfrontatezza e il gusto della “casualità sonora” di gruppi meno raffinati e più teutonici come i Faust (che visti dal vivo pochi anni fa in concomitanza con la pubblicazione del loro album insieme ai Dalek, “Derbe Respect, Alder” (Staubgold ) ancora non si tiravano indietro dal far musica con lamiere, tubi e attrezzi da officina). Un album fondamentale da citare, nella miriade di dischi di Kraut Rock a cui gli attuali gruppi americani possono più o meno consciamente essersi ispirati, è Schwingungen degli Ash Ra Tempel.


Citando Julian Cope, che conciliando i punti di vista di critico, musicista e appassionato ha firmato una delle guide più immediate ed efficaci per capire lo spirito lisergico del Kraut (Krautrocksamplers, prima stampa Heritage 1995), l’etichetta che le copertine delle copie di questo album dovrebbero riportare è “Beware of Schwingungen!” (Attenti a Schwingungen!). Il primo brano dell’album, “Look at your sun”, è un lungo blues lento e psichedelico. Il brano è la prima metà del piccolo concept che costituisce la prima facciata dell’ lp e che porta il titolo “Light and Darkness” (prima traccia “Light: Look at your sun”, seconda traccia “Darkness: Flowers must die”). Con “Flowers Must Die” si entra propriamente nello spirito dell’album, con l’attenzione che viene richiamata dalla voce straziante un po’ fatta di parole e un po’ di urla di John L., su un sottofondo di musica spaziale e acida che si ripete cantilenante per oltre dodici minuti. Si cambia facciata ed è la volta della lunga ( questa volta i minuti sono diciannove) e non di meno psichedelica title track, “Schwingungen”, che snodandosi tra assoli, jam e momenti di totale perdizione dà definitivamente al novizio ascoltatore il benvenuto nel mondo del kraut rock.
Nell’universo sonoro aggressivo e prepotente del Kraut Rock, Schwingungen è un album che si nota perché, quantomeno nella prima parte , si mantengono vivi un certo gusto per l’universo acustico e una certa attenzione per la matrice blues, evoluta poi in digressioni strumentali spaziali e psichedeliche. Quando si ascoltano album di Six Organs of Admittance, Fursaxa o Jackie O-Motherfucker questo è un album che non può non tornare alla mente almeno per un istante.
Per citare altri album tedeschi che si collocano alle radici della musica dei nuovi gruppi americani, per quanto riguarda l’amore per le suite strumentali psichedeliche viene in mente Phaedra dei Tangerine Dream, mentre per il gusto delle sovrapposizioni sonore ruggenti e aggressive torna alla mente quel capolavoro che è Yeti di Amon Duul II.


Sempre rimanendo in tema di rock progressive Frank Zappa ha da insegnare un po’ a tutti, e specialmente laddove nei nuovi gruppi si tenta la strada delle composizioni un po’ meno casuali e più ardite non si può non citare il maestro Zappa, che con l’abilità di un compositore e arrangiatore classico è stato fra i primi a ricorrere allo stesso tempo a cut up, sperimentazione sonora, scrittura strumentale, umorismo e genuina follia.
Tra gli antenati europei di queste bands – ma anche tra quelli americani, è che ci piace soffermarsi sugli europei per la lontananza geografica – non mancano quelli che anticiparono il gusto, oggi forse rivalutato, della vita in comune. Erano una comune musicale i Quintessence di Notting Hill Gate (Londra), a cui i nuovi gruppi devono qualcosa anche dal punto di vista musicale per il gusto per le improvvisazioni completamente libere e freak su cui questa band, nata nei tardi anni Sessanta, basò la propria forza. Per citare solo un’altra comune musicale, che forse come nessun’altra serve da esempio, basta tirare di nuovo in ballo il nome degli Amon Duul.


Six Organs of Admittance – The sun awakens (Drag City)

E’ tornato sulle scene con un nuovo album uno dei gruppi di questo genere musicale che forse tra i primi si è fatto conoscere in Italia, facendo un po’ da traino per tutta la scena. Si tratta di Six Organs of Admittance dell’eclettico Ben Chasny. In costante equilibrio tra eclettismo e follia strumentale e reminescenze di cantautorato, Six Organs of Admittance mettono a segno un ottimo album. The Sun Awakens si apre con una parentesi strumentale chitarristica acustica e soffusa, Torn By Wolves, che cede il posto ad un brano che per l’andamento e lo stile vocale può far pensare ad un’interpretazione filtrata attraverso gli occhi dei Six Organs della musica di John Cale. Un altro brano un po’ blues e tradizionale ( Black Wall) e uno abbastanza cantabile ( The Desert is a circle) ci separano dalla coda dell’album in cui si scatena l’improvvisazione più sfrenata che ci fa riconoscere la vera anima di Six Organs of Admittance, e che ci conduce fino alla fine di un disco originale e molto equilibrato.

Altre notizie

Per concludere il panorama vogliamo citare l’EP di Tarantula A.D., Atlantis, che ci ha permesso di completare la discografia del gruppo su Kemado Records (l’album Book of Sand è recensito nello special L’Altra America 1, Popolo del Blues febbraio 2006). Ancora una volta Tarantula AD dimostrano la propria capacità di fondere il gusto per l’improvvisazione con una matrice più scritta e più di derivazione classica, con temi di violino che si intrecciano a delicati accompagnamenti di pianoforte. Rispetto all’album il gusto per il sinfonismo è minore, ma sono ancora riconoscibili tutte le caratteristiche peculiari di questa ottima band.
Un altro album che non abbiamo fino ad oggi mai citato è quello di Angels of Light e Akron/ Family, dall’omonimo titolo, recensito da molti come tra i migliori album del 2005. Fondendo blues, canzone d’autore e deliri strumentali rumorosissimi, l’album è la testimonianza di come pur facendo musica completamente indipendente e frutto della propria libera ispirazione si possa raggiungere il successo, se non di vendita che è quasi impossibile, della critica internazionale.

Dove è possibile vedere questi gruppi dal vivo? Per chi non è in grado di raggiungere Austin in Texas per assistere al Festival South by South West, dove quest’anno ad esempio hanno suonato Tarantula A.D. e che è senza dubbio l’evento clou per il mondo della discografia americana e internazionale , è possibile far riferimento a due Festivals Europei celebri per l’attenzione riservata alla scena indipendente. Il primo è All Tomorrows Party, che si svolge in 2 week ends a Maggio a East Sussex, sessanta miglia da Londra. Al primo week end , 12, 13 e 14 maggio, quest’anno hanno partecipato gruppi come Tarantula AD, Celebration, Espers, Devendra Banhart e Vetiver,e molte altre interessanti bands hanno preso parte al week end successivo. Info su www.atpfestival.com.
Un altro festival molto interessante è il Green Man Festival, che si svolgerà dal 18 al 20 agosto 2006 in Inghilterra e a cui parteciperanno gruppi come Circulus, Sunburned hand of the man, Silver Jews, Jack Rose.
info su www.thegreenmanfestival.co.uk


Giulia Nuti

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