. | Record Collector SPECIAL Tra i segreti del Record Collector Londra, 9 maggio 2006 Meeting with journalists working in the historical music magazine, spread all over the world In molti lo considerano come la Bibbia del settore. In pratica lo è, dato che propria la sua formula ha influenzato molti giornalisti musicali, ma anche tante riviste che poi hanno sviluppato una strada autonoma. Come sempre succede per i pionieri, spesso i concorrenti superano i maestri, che alla fine devono adeguarsi ai tempi. Così è successo per il Record Collector, la rivista dedicata alla storia e al collezionismo musicale che ultimamente ha cambiato veste grafica, puntando sul full colour senza però rinunciare a ciò per cui ha conquistato lettori in tutto il mondo, ovvero i contenuti. Dopo che il nostro direttore Ernesto de Pascale ha avuto l’onore di aver dedicate due pagine della rivista come collezionista (primo italiano) iniziando nel frattempo un rapporto di collaborazione, è stato importante entrare nei loro uffici per conoscere il loro modo di lavorare. Ci ha accolto Jason Draper, l’autore dell’intervista a de Pascale, che ci ha presentato i colleghi, da Tim Jones a Jake Kennedy e, ovviamente il direttore Alan Lewis. L’ambiente fisico della redazione è un open space condiviso con altri magazine del gruppo editoriale Metropolis che lo ha acquisito alcuni anni fa dal vecchio proprietario Sean O’Mahony (alias Johnny Dean). E la storia di questo personaggio, come accennata da Lewis, è molto interessante. Tutto nasce infatti nel 1963 con The Beatles Book, una fanzine dedicata al gruppo di Liverpool di cui O’Mahony era un grande fan: la pubblicazione andò avanti fino al 1969 e nel 1976 riprese le pubblicazioni grazie a una continua domanda degli appassionati. O’Mahony però aveva realizzato un’altra idea, quella di una rivista di annunci per automobili. Il connubio tra le due formule funzionò tanto che gli annunci, la ricerca di materiale collezionabile dei decenni passati fece nascere ufficialmente il Record Collector, prima allegato a The Beatles Book, poi come rivista autonoma. E qui nascono le pagine che tutti conosciamo: quelle delle monografie di artisti, quelle delle discografie complete, quelle delle valutazioni dei dischi rari. E poi annunci, mailing lists, unico modo per i collezionisti di Gran Bretagna, Stati Uniti, e piano piano di tutto il mondo per scambiarsi informazioni e per contattarsi. Nascono poi le altre testate musicali concorrenti, da Mojo ad Uncut, che pubblicano monografie e recensioni. Il Record Collector resiste molto bene anche perché rivolto a un pubblico molto vario, che fa della discografia completa un punto di merito del proprio modo di essere. Quindi anche gli artisti di cui la rivista tratta sono piuttosto eterogenei anche se gli anni preferiti restano i ’70. Piuttosto il bianco e nero è troppo austero per i nuovi tempi. O’Mahony e anche Peter Doggett,redattore che dalla fondazione ha seguito tutte le sorti della rivista lasciano rispettivamente proprietà e postazione all’interno del giornale. Arriva Alan Lewis, un passato con Sounds, Nme, Black Music, ma soprattutto Uncut. Lewis, come ci spiega, deve fare i conti con il mondo che cambia e con la concorrenza sempre più agguerrita. Ha comunque parole di grande considerazione per tutta la stampa musicale inglese, da Uncut a Mojo a The Word. La formula per rispondere alla sfida del mercato è quella innanzitutto di lavorare con molto anticipo, tanto che la copertina viene decisa due mesi prima. Oltre ai consueti approfondimenti per ogni artista trattato, con la consueta discografia completa, ci si muove anche per scoprire il fenomeno del collezionismo via internet (altro temibile concorrente della rivista), del commercio on line e del download di brani. Poi le rubriche, le curiosità, gli annunci e i collezionisti in primo piano, attraverso le loro personali rarità. Lewis, con in mano il cosiddetto timone ovvero il piano delle pagine, sente il peso di una tradizione importante ma ha molta voglia di andare avanti, grazie anche all’azienda editoriale che crede nel progetto pur occupandosi di vari settori. Anzi, è sorprendente che una redazione così piccola, cinque persone in tutto, riesca a produrre una tale mole di lavoro, che verrà poi assemblato in una forma grafica ammiccante e nuova. In una copertina del 2003 ad esempio compaiono i White Stripes e Bob Dylan, segno di un connubio importante tra tradizione e attualità. Jason, proprio da Lewis, è indicato grazie ai suoi 23 anni come la persona giusta per capire e spiegare al tempo stesso con proprietà presente e passato. Li lasciamo convinti non tanto di aver visto un pezzo di storia ma di essere capitati in un laboratorio di idee. Un fatto che ci fa ben sperare per il futuro di lettori e giornalisti. Michele Manzotti |
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