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MUSE
Firenze, Piazzale Michelangelo, 30 Maggio 2007

In uno dei palchi più suggestivi d’Italia e forse del mondo i Muse calano il loro primo asso italiano, per chi ama i bis l’appuntamento è il 16 Luglio a Verona.
A poco più di un anno dal successo di Black Holes And Revelations, il trio inglese si esibisce, sulle ali della propria popolarità, di fronte ad un pubblico vastissimo. La performance è impeccabile; otto anni dopo il loro primo album i Muse hanno raggiunto un affiatamento e una solidità musicale degne di una grande rock band. Se non fosse per qualche effetto sparato nelle casse senza che ci siano musicisti ad eseguirlo, anche il lato strumentale potrebbe dirsi perfettamente esaurito, sostenuto poi da un ampio e ben studiato utilizzo di distorsioni. I puristi avranno qualcosa da ridire, ma l’emozione che viene comunicata dallo stage si sente e Knights Of Cydonia, Hysteria, Supermassive Black Hole, strepitoso tris d’apertura, generano un’onda che dalla fastosa coreografia del palco si trasmette per tutto il piazzale. Giochi di luce, fantasie cromatiche sui megaschermi, rumori artificiali accompagnano il percorso tra i maggiori successi della band da Starlight a Time Is Running Out fino a Plug In Baby in un’esibizione che, nonostante le accuse di aver venduto l’anima al britpop, appare per lunghi tratti hard-rock, dimostrando che i tre di Devon sfuggono da caratterizzazioni troppo stringenti. Al punto che possono proporre pezzi più lenti (Invincible) con l’appoggio incondizionato di un pubblico rapito da Matt Bellamy che, dopo la chitarra, sfoggia al pianoforte le proprie doti artistiche.
Pubblico che, infine, esplode all’esecuzione, la migliore della serata, di Stockholm Syndrome. Poi la doccia fredda. Terminata la grande performance dell’unica canzone veramente cambiata negli arrangiamenti ed estesa nei tempi i Muse si ritirano dal palco. Ma quando tutti sono pronti ad invocare il bis avvia, dopo nemmeno trenta secondi, l’odioso swing di fine concerto, lasciando perplessa la piazza, delusa dall’ora e dieci scarsa di spettacolo.
Nonostante lo show perfetto, come ebbe a dire Keith Richards, dovrebbe durare massimo 20 minuti, ci si sarebbe attesi dalla band inglese uno spettacolo più articolato, magari un’estensione dei pezzi lasciati troppo spesso simili alla traccia su cd o una loro moltiplicazione in numero. Così non è avvenuto. Sulla strada per l’Olimpo del rock i Muse vanno spediti, ma qualche frenata azzardata rischia di farli sbandare.

Matteo Vannacci

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