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Band of Horses - Infinite Arms
(Columbia)

In Italia ci stiamo perdendo Band of Horses che in America - giunti al terzo album, Infinite Arms - sono già realtà e qui neanche briciole.
Accade infatti che i tipi di Seattle ma residenti in South Carolina per una “scelta a tutto campo”, suonino troppo scontati e west coast per il recensore tutto hype e suggestioni post adolescenziali. In altre parole: Band of Horse è una band con due palle così che sia strumentalmente che vocalmente dà le piste a molti, ripescando le lezioni di gente come Big Star o Beach Boys post Pet Sounds.
Affidandosi al produttore Phil Ek (The Shins, Modest Mouse, Fleet Foxes) e impegnandosi in un profondo sforzo collettivo, tanto da far dire al frontman Ben Bridwell che" per molti versi questo è il primo vero album della band in quanto tale “, Band of Horses fa con Infinite Arms, primo album per una major, un bel salto avanti rispetto a Cease to Begin del 2007, un disco che aveva dato precise indicazioni sul valore della formazione.
Il nuovo lavoro riproduce il diario di viaggio della band che si è impegnata a proiettare l’essenza dei luoghi in cui l’album è stato pensato e realizzato rendendo Infinite Arms un lavoro completo e davvero a fuoco. Si cerca così di riprodurre la ricca eredità musicale di Muscle Shoals, Alabama, la sublime bellezza delle Blue Ridge Mountains di Asheville, il clamore delle colline di Hollywood e gli ampi spazi del deserto del Mojave per una sensazione senza tempo.
Per riuscire nel loro intento le “barbe più indie del rock americano” hanno steso ben 27 brani ( 12 quelli scelti ) e hanno lavorato sodo sulla sintesi e sul limare le pagine che riproducevano troppo da vicino il disco precedente. Quel che più colpisce nell’ascolto complessivo è la coesione di Band of Horses - scelta dai Pearl Jam per aprire la nuova tourneè americana - sin dalla iniziale Factory attraverso il canto corale di Older oppure Evening Kitchen, dalle sonorità lo - fi.
Il risultato è sorprendente, formulato nella migliore tradizione del più atmosferico suono “Americana”, una pura magia apparentemente già assaporata ma impalpabile, ricca di sfumature melanconiche ed appassionate.

Hrundi V.Bahkshi

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