L’anima di quello che una volta si chiamava southern rock è interpretata da molti anni da un gruppo in grado di emozionarti con poco, Drive By Truckers, un sestetto guidato da Petterson Hood (il papà è uno dei protagonisti del cosiddetto Muscle Shoals Sound), anima torturata e critico spirito sudista.
Il chitarrista Mike Cooley e la bassista Shoona Tucker completano il trio compositivo ma è Hood, che afferma di aver scritto buona parte del disco sulla strada “osservando un mondo in cambiamento verso il peggio”, il principale artefice di The Big To Do, un album compatto che mantiene intatto quel senso di perfetta imperfezione che è la caratteristica più umana e sincera di una band dai contorni oramai già quasi leggendari.
The Big To Do per chi non conosce Drive By Truckers è un disco coeso ben più del precedente Blessing and the Curse.Hood con otto brani su tredici fa la parte del leone cercando la strada di un rock compatto caratterizzato da una ruvidezza che rimanda ai Crazy Horse degli esordi. Il gruppo resta fortissimo nelle cosiddette story songs che toccano gli angoli oscuri della psiche e che lasciano immutato anche in The Big To Do quel senso di Arcana Gothic Americana (The Wig He Made Her Wear" "You Got Another" and "The Flying Wallendas") in cui la band è specializzata sin dagli esordi.
I testi sono un pugno nello stomaco: faranno male ad esempio a tutti coloro i quali sono stati travolti dalla grande recessione degli ultimi anni ma anche solo a chi si dibatte fra gli alti e bassi del quotidiano.
L’aria che si respira in The Big To Do è quella di una rinascita a suon di classic rock contemporaneo, a compimento di un percorso iniziato anni fa, fregandosene dei formati. Non male per una band di redneck, in fin dei conti!
Giulia Nuti
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