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Musica per corde e crini di cavallo - Il violino nel Progressive (part 1)
Nonostante sia conosciuto per lo più come strumento destinato alla musica classica, il violino nell’ambito della cosiddetta musica “extra-colta” si distingue per la sua inconfondibile versatilità e possibilità di utilizzo. La musica popolare e tradizionale è stata la prima ad accorgersene, utilizzando lo strumento ampliamente e sviluppando tecniche specifiche in base alle caratteristiche della musica delle diverse regioni. Un esempio tipico e conosciuto è quello del fiddle irlandese, dove il suono del violino ha permesso alle musiche di oltre Manica di entrare nell’immaginario collettivo. Altro impiego diverso del violino è quello che ha saputo fare il country in America. Per non parlare dell’utilizzo di questo strumento nelle musiche gitane e dei popoli est-europei. Sembra superfluo sottolinearlo, ma ognuno di questi diversi generi musicali ( per quanto appartengano tutti alla musica popolare ) è stato in grado di fissare per il violino un proprio personale standard, un linguaggio e un modo d’impiego caratteristico al quale tanti musicisti, in diversi ambiti, hanno potuto poi attingere e far riferimento
Ispirandosi proprio alla musica popolare , il songwritng di tutti i tempi ha saputo fare del violino un solido e sempre valido appoggio per i propri arrangiamenti, basti pensare al binomio Bob Dylan Scarlet Rivera e alla collaborazione che ha reso memorabile Hurricane. Sempre grazie allo stesso legame con la musica tradizionale, folk e folk-rock inglesi hanno fatto del violino uno dei propri strumenti indispensabili ( si pensi a Licorice Mc Kechnie e all’Incedible String Band , o meglio ancora a Dave Swarbrick e ai Fairport Convention ). Sorvolando sul Jazz, che con violinisti quali Jean Luc-Ponty, Stephane Grappelli e Joe Venuti merita un capitolo a parte, uno dei generi musicali che ha saputo fare un utilizzo più approfondito e meno scontato del violino è stato il Progressive, che per la sua caratteristica di attingere a varie fonti, di saper ricontestualizzare le influenze popolari, di poter contare su interventi strumentali e libertà formale ha esplorato lo strumento in molte delle sue potenzialità.
Jerry Goodman
I metodi a cui si è fatto ricorso nell’ambito di questo genere per affrontare il problema dell’impiego del violino sono stati diversi. Questo è infatti uno strumento che si presta bene per far da protagonista quando se ne evidenzia la valenza di strumento tematico, ma che può perdere di importanza se troppo sfruttato. Si usa bene per accompagnamenti e arrangiamenti ( armonie, sezioni d’archi ) e funziona bene come nota coloristica, ma suona strano quando ora compare e ora sparisce all’improvviso nel corso di un solo album o di un brano.
Uno dei tentativi più estremi di conciliare rock pesante e violino è senza dubbio quello degli High Tide, quartetto prog inglese dei primi settanta che ha dato alle stampe soltanto due dischi di studio ( “Sea Shanties” Liberty,1969 e “High Tide” Liberty, 1970 ; ristampe su cd Repertoire oppure i primi due lp su unica raccolta EMI, 1994) prima che i singoli membri intraprendessero carriere separate. La formazione si compone di basso, batteria, chitarra elettrica e il violino di Simone House, che dopo gli High Tide ha proseguito la carriera con la Third Ear Band nel ’72 per la colonna sonora di “Macbeth” di Roman Polanski e , in seguito, si è unito agli Hawkwind. Quello degli High Tide è un progressive carico e distorto, libero e con grande spazio per l’improvvisazione. I brani sono spesso strutturati su un tappeto di chitarra trattata ( merito di Tony Hill) su cui interviene House, alternandosi poi con Hill per gli assoli. Siamo di fronte ad un genere più aggressivo, con toni gotici, inseribile per certi aspetti in quel revival in chiave rock di musica barocca affrontato anche da Emerson, Lake&Palmer e Beggars Opera, ma in cui il violino sa comunque trovare il suo equilibrio grazie ai giusti effetti e alle grandi capacità tecniche di House, che pur nel contesto hard rock talvolta cita musica irlandese e toni medioevali.
Una menzione speciale per l’originalità va al suono ruvido e graffiante di Don “Sugar Cane” Harris, collaboratore per anni di un outsider come Frank Zappa, con il quale ha messo a segno performance come quella su Willie The Pimp, dall’album “Hot Rats” ( Bizzarre, 1969; ristampa Rykodisc, 1995 ). La carriera di Sugar Cane Harris, oltre a Zappa, vanta collaborazioni con musicisti quali John Mayall e grandi dischi da solista.
Un caso a parte è quello dei Gentle Giant dei fratelli Shulman, band di progressive inglese dotata di incredibile originalità e composta di tutti musicisti di grande talento. La musica dei Gentle Giant è riconoscibile in mezzo a tutte le altre nell’ambito del progressive per il suo sound caratteristico, per l’utilizzo della voce e degli strumenti e per gli incastri impossibili tra le parti. La band rispecchia infatti uno degli approcci più colti dei primi anni settanta al progressive, dove per colto non si intenda solo una solida formazione classica a cui attingere ( come nel caso di Keith Emerson e le citazioni classiche di Emerson, Lake&Palmer ), ma soprattutto un lavoro accorto di ricerca armonica e formale a livello della scrittura, che richiede grande competenza.
Il violinista dei Gentle Giant è Ray Shulman, polistrumentista come tutti gli altri membri della band ( un altro dei punti di forza dei Gentle Giant era infatti quello di disporre di una vasta gamma di strumenti). I Gentle Giant non sono una band costruita intorno al suono del violino, ma un gruppo in cui questo strumento interviene qua e là per dare colore. A parte gli interventi di accompagnamento dove serve , ad esso vengono di solito dedicati pochi pezzi ma interi ( rispettando il semplice principio di far suonare gli strumenti fino alla fine una volta intervenuti nei pezzi ). Nel loro omonimo disco d’esordio (Vertigo, 1970), quello con la facciona del gigante Pantagruel in copertina, troviamo Isn’t it quiet and cold? , dove già si mettono in mostra le ottime capacità di arrangiamento del gruppo e dove il violino si esibisce in un tema cantabile e solitario, dai toni popolari e, per l’epoca, vagamente vintage. Nel secondo album, “Acquiring the taste” ( Vertigo, 1971), la band si replica con la splendida Black Cat, incastro madrigalistico di voce e strumenti che già preannuncia la ricerca stilistica che culminerà in “Octopus” ( Vertigo, 1972) , loro quarto album, dove il gruppo si spinge verso incastri e armonie sempre più complessi e temi segmentati che ricordano da Bela Bartók a certa musica classica contemporanea. E in proprio in “Octopus” infatti troviamo Racounter, Trobadour , un tentativo di portare alla contemporaneità e di inserire in ambito prog temi e sonorità medioevali, un brano assolutamente imperdibile per il modo sapiente in cui è costruito e perché esemplificativo di una linea di progressive che ben in pochi hanno saputo perseguire.
Simon House
Sul versante americano, a superare bene il problema della competizione tra violino e chitarra ( entrambi naturalmente portati a far da protagonisti negli assoli ) ci ha pensato il virtuoso e spericolato Jerry Goodman, prima con i Flock e poi con la Mahavishnu Orchestra. La soluzione più ovvia parlando di “superare la competizione” tra due strumenti è quella di suddividere fra i due i compiti, evidenziandone le caratteristiche diverse per farli coesistere contemporaneamente. Ciò che invece ha fatto Goodman, nel corso della sua ricerca, è stato esattamente l’opposto, cercando cioè di utilizzare il violino in modo quanto più possibile simile ad una chitarra elettrica. I risultati sono stati strabilianti. Ruolo fondamentale nel suo modo di suonare è quindi conferito alla capacità di improvvisazione, che nel suo caso va oltre la capacità di saper creare estemporaneamente bei temi e linee melodiche e diventa la costante ricerca di effetti di suono. Già questa inclinazione è evidente nell’album d’esordio dei Flock ( The Flock Columbia, 1969; ristampa Columbia 1995 ), gruppo fondamentalmente di soul e rhythm&blues ma con ampie parti strumentali, dove soltanto nel brano di apertura, una strumentale Introduction, Goodman passa in rassegna la maggior parte delle possibili tecniche violinistiche, da pizzicato a tremolo ai vari possibili utilizzi dell’arco. Movenze da chitarra blues si trovano poi sul brano successivo, Clown, e, in maniera inconfondibile, sul brano conclusivo del disco, Truth, dove Goodman mette a segno una performance grandiosa. Gli aspetti virtuosistici del suo modo di suonare trovano poi ampio spazio negli interventi classicheggianti e nelle parentesi per violino solo trattate come una cadenza da concerto. Dopo solo due anni Godman lasciò i Flock per continuare la sua ricerca sonora nella più jazzistica Mahavishnu Orchestra di John Mc Laughlin, con la quale ha registrato assoli epici e inconfondibili. Mac Loughlin pensò sulle prime a Jean Luc Ponty per la sua band ( che avrebbe poi comunque sostituito Goodman dal ’74) , ma trovandosi nella necessità di scegliere un violinista americano passò in rassegna i vari gruppi con violino del periodo e pensò a Goodman, perché, ha dichiarato “ Quando sentii Jerry Goodman suonare con i Flock sapevo che la mia ricerca era finita”. Insieme, e questa volta davvero un grande chitarrista e un grande violinista a confronto, i due realizzarono capolavori come “The Inner Mounting Flame” ( Columbia, 1971; ristampa Sony, 1998) , dove il violinista brilla su brani come Meeting of the spirits e Vital Transformation.
Questo primo assaggio dei vari tentativi di associare violino e musica extra-colta dovrebbe già dare un’idea di come il binomio possa essere molto, molto fruttuoso. I violinisti a cimentarsi nell’impresa, spesso ricontestualizzando proprio quanto appreso negli anni della formazione classica, sono stati in molti, ognuno inventando uno stile e un sound assolutamente personali.
Le sorprese che i geniali sentieri della storia della musica riservano, quindi, certamente non finiscono qui…
(fine prima parte)
Giulia Nuti
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