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Devendra Banhart – Rejoicing in the Hands
(XL/Self)



Fra le ultime tendenze del sempre più caotico underground americano, è da segnalare un ritorno alla tradizione folk ancestrale. Come per far saltare un’iconografia radicata che per molti inizia a diventare limitante, quella del rock post-anni ‘60, si sta formando una piccola scena che preferisce evitarne gli stilemi e tornare direttamente al folk delle radici, lo stesso a cui in fondo guardavano Fred Neil, Bob Dylan e tutti i cantautori emersi allora. Fra tutti questi nomi (CocoRosie, Vetiver, anche Sufjan Stevens), formazioni e musicisti venuti alla ribalta solo nell’ultimo biennio, Devendra Banhart è quello che ha catturato maggiore attenzione di pubblico e critica. Banhart è un giovanissimo (classe 1981) diplomato del San Francisco Art Institute, e l’agenda del suo 2004 si profila fitta di impegni: appena uscito con Rejoicing in the Hands e col bellissimo debutto dei già citati Vetiver (nei quali ha la parte di chitarrista aggiunto), promette un altro album verso l’autunno, contenente le restanti canzoni registrate durante il 2003. Nel frattempo si vocifera addirittura di un disco glam, con Marc Bolan citato come influenza principale, che sarebbe conservato in un cassetto ma già pronto all’uscita. Voci vere o fondate che siano, per adesso ci godiamo Rejoicing in the Hands, che raffina una forma canzone carica di promesse ma appena sbozzata, quella di Oh Me Oh My, debutto registrato con penuria sia di mezzi che tempo. Nonostante una confezione più elaborata, la musica e la voce di Devendra (qui molto cresciuta) pretendono ancora libertà, mantenendo all’angolo una produzione che si limita ad aggiungere piccoli tocchi di piano e violino, atti a dare profondità ai pezzi senza volerli snaturare in alcun modo. La grandezza del cantautore texano consiste nel costruire trame chitarristiche semplici ma intrise di folk appalachiano, blues e tutto quel brodo primordiale da cui un secolo fa è partita tutta la musica tradizionale americana. Brani come When the Sun Shone on Vetiver, Rejoicing in the Hands (con un’incredibile partecipazione di Vasthi Bunyan, figura mitologica del folk britannico), This Is the Way e Poughkeepsie risuonano di un’antichità insita nel DNA stesso della canzone popolare americana, astraendone di conseguenza visione e scopo da qualsiasi contesto temporale. Una classicità inclassificabile, dunque, che concorre a formare un disco scarno ed asciutto, che chiede sì pazienza e ascolti prolungati, ma promette anche di risuonare a lungo durante il corso dell’anno e oltre.

Bernardo Cioci




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