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Tinariwen Anassakoul
(Triban Union/Universal)
Arriva dal Sud del Sahara la proposta più roots di questo 2004 e lo sottoscriviamo qui senza alcun ombra di dubbio uno dei migliori dischi di questo anno.
Giunti al loro secondo album, la formazione Tuareg proveniente dal Mali, prosegue un percorso che non è dissimile da quello narrato dal bluesman Corey Harris nel film “Dal Mali al Mississippi” di Martin Scorsese, uno dei sette lungo metraggi prodotti dal cineasta newyorchese per l’anno del blues e mostrati in America dal canale culturale PBS.
Questo “Amassakoul” piacerà a chi ha apprezzato le varie collaborazioni fra Taj Mahal e Ali Farka Toure o quelle di quest’ultimo con Ry Cooder, agli amanti della trance ( l’ album pare solo attendere un degno remix!), della musica ipnotica che non ha bisogno del battito monolitico del rock per essere contraddistinta come blues.
Il gruppo guidato da Ag Ahlahib, cantante principale e primo chitarrista, usa gli strumenti elettrici come vera e propria sfida rivoluzionaria, come espressione dei propri lamenti nomadi e delle proprie oppressioni. Tutto ciò in una musica che ricorda non poco i boogie primordiali di John Lee Hooker, o i riff di Bo Diddley accompagnata da battiti di mani e da ritmi che non stonerebbero nelle migliori orchestre tribaliste del Nord Brasil. Tutte queste parole per descrivere - ma solo lo lontanamente , ne siamo coscienti il viaggio misterioso di questi nomadi d’Africa, sospinti dal vento e dalla speranza.
Quando nell’ultimo brano del disco, dopo lunghe incursioni in forme a volte addirittura libere che avrebbero fatto la gioia di John Coltrane piuttosto che di Jerry Garcia e di certo del ricercatore ritmico dei Greateful Dead, Mickey Hart, il gruppo intona “ Assoul”, dove a fianco delle chitarre suonate con lo slide fanno la loro comparsa un flauto di canna e un didgeridoo per un brano che farebbe la gioia dei fan del Kraut Rock!, non si sa più veramente dove siano i confini per questi musicisti e il nomadismo ha finalmente un senso.
Viene allora da riflettere su come certe volte la non conoscenza sia un bene, le costrizioni, i canoni, i generi pre definiti, getti le basi dell’eclettismo che la nostra società tende a evitare. Per generare, come in questo caso, una musica libera, veramente originale, profonda, magica.
Imperdibile.
Ernesto de Pascale
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