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Van Der Graaf Generator Reunion
Roma, Stadio del Tennis 13/05/2005


Considerazioni sulla reunion dei VDGG
di Ernesto de Pascale

L’odore acre delle canne è stato sostituito da quello di un profumo che la signora a tre posti da me emana, i cesti di capelli, che una volta oscuravano la mia vista, da teste lucide come palle di biliardo, l’amico freak del “chaimicacentolire” ha comprato i biglietti in internet e Sandro che dormì in una cabina del telefono è oggi lontano, sposato con una tailandese. Simona, bionda da far girare la testa, provenienza Coverciano, ha un nipote che è qui con lei, felice come se fosse stato portato a giocare alla playstation, ma ignaro di dove si trovi. Silvano, l’unico che potrebbe ricordare un ventenne, è qui per cercare di dimenticare la mamma appena deceduta. Non lo aspettavamo. Barbara è morta due settimane fa; allo Space Elctronic c’era anche lei. Bruno, il loro più grande fan, che mi aspettava ogni pomeriggio sul muretto di Piazza San Marco, dopo aver giurato di non volerli mancare per nessun motivo, ha mollato il colpo. Luca vive a Ginevra. A Bologna, in estasi, urlò, nel silenzio di un pianissimo, una sola parola: “Ritorna”.

E loro, puntuali, sono ritornati.
Sono passati circa 30 anni.

Come la tua compagna di classe, la più bella, l’amore della tua vita, che 30 anni dopo ritrovi bella come sempre, forse ancor di più, in un attimo la conferma per anni sperata ma allo stesso tempo reietta è diventata realtà, conferma. La più bella, resta la più bella. Loro, restano loro.

Un senso di vomito mi assale, quando nel buio della mia casa, alle quattro del mattino rivedo la serata scorrermi davanti. Lo stesso senso di vomito mi assale mentre scrivo.

Sono giunto fino a qui con persone assieme alle quali – fortunatamente – non ho vissuto quest’ esperienza 30 anni fa. Con quegli altri, come marines da prima linea, ci siamo sparpagliati, pur di non guardare le lacrime scendere dagli occhi l’uno dell’altro. Per rispetto, per onore, per pietà umana.

Perché in questa sera appena freddina allo Stadio del tennis di Roma, di lacrime se ne vedranno scendere tante. E tutti faranno finta di niente. Per rispetto, per onore, per pietà umana.

Il fato, il destino, quel coso inconsistente e stronzo che ha deciso per noi questa sera ci fa ritrovare, tutti conosciuti e sconosciuti, proprio come allora. Il ricco e il povero, il santo e la puttana.

Come in un solenne film di Altman – secondo una figura retorica a me cara – le comparse della vita - Signori e Signori : Noi - si sono ritrovate per il richiamo primordiale a suon di musica, e che musica. Anche questa volta, nascondendo ma neanche troppo proprio ciò che non ci divide ma ci accomuna, il destino, l’unico a soffrirne meno sembrava proprio lui, il banco, il croupier della partita, il Generatore di Van Der Graaf.

Rien va plus

Ernesto de Pascale


Il concerto
di Giulia Nuti

C’era grande, grandissima attesa nell’aria per il concerto romano della reunion dei Van Der Graaf Generator. C’era tra il pubblico chi li aveva visti all’inizio degli anni Settanta, chi se li era persi dal vivo allora ma era cresciuto ascoltando i loro dischi, chi aveva conosciuto tardi i loro dischi cercando tra i vinile di mamma e papà e che, naturalmente, attendeva di vederli salire sul palco per la prima volta. Per tutti però la sensazione era inconfondibilmente quella di grande emozione. Poi i Van Der Graaf a distanza di trent’anni sono magicamente comparsi sul palco, gli stessi di allora ( Peter Hammil a chitarra piano e voce, Hugh Banton alle tastiere, David Jackson agli strumenti a fiato e Guy Evans alla batteria). Il tempo è passato e le facce sono cambiate, ma per il resto sembra che tutto sia rimasto uguale. Il loro sound è ancora sconvolgentemente grintoso e nitido, riconoscibile fra mille. Quando dal palco dello stadio del tennis lasciano vibrare nell’ aria pietre miliari come Lemmings e Man-Erg, tratti dal loro capolavoro Pawn Hearts ( 1971), sembra proprio di rivivere in tempo reale il sound di allora così come lo avevamo lasciato su disco. Tanto che tornando a casa e riascoltando l’album si rimane basiti, e ancora di più lo si è pensando a cosa non dev’essere stato vederli dal vivo allora. Lo stesso vale quando i brani tratti dai loro dischi dei ’70 sono altri come Still Life o Darkness, con cui aprono il concerto. Hammil è l’inesauribile frontman di sempre, lo stesso che è stato possibile apprezzare nel corso degli anni seguendo la sua carriera solista, che alterna sul palco a tutta la sua energia da rocker modi da vero gentleman nel momento in cui si rivolge al pubblico. Jackson e suoi polmoni d’acciaio padroneggiano sul palco non solo un sassofono per volta ma, come da tradizione di lunga data, molto più spesso due, regalando al pubblico romano un suono di flauto così nitido come raramente in questo genere di musica è possibile apprezzare. Guy Evans è una macchina da guerra: preciso, compatto, instancabile, un tutt’uno con Banton. Già, proprio con Banton, perché il tastierista oltre a destreggiarsi abilmente con i suoi strumenti da sempre riveste tramite tastiera e pedaliera – in un gruppo che del basso non si è mai servito – anche il ruolo di bassista, interagendo con Evans come le migliori sezioni ritmiche. Tutto questo, ora e allora, è semplicemente il Generatore di Van Der Graaf, e commuove constatare che lo spirito del gruppo che ha contribuito a far crescere tanti giovani musicisti e appassionati di musica allora, che per molti è stato una scuola e una leggenda, ha resistito indenne al trascorrere del tempo. E ancora di più ci si commuove quando ci si rende conto di come molti dei brani del loro album della reunion, Present (2005) , in parte eseguito in concerto, siano incredibilmente simili ai brani di allora. Come se il gruppo avesse ricominciato esattamente da dove si era fermato.



Prima di salutare il pubblico i Van Der Graaf, tra i bis, regalano Theme One e Refugees. Questa è la prima volta che la eseguono dopo trent’anni, dal momento che non l’hanno inserita in nessuna delle scalette delle date precedenti. L’atmosfera è indescrivibilmente magica, anche per chi allora non c’era. Figuriamoci per chi, pioniere del suo tempo, allora dal vivo non li ha persi.

Giulia Nuti


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