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Karine Polwart - Faultline
(neon records)
www.karinepolwart.com



Scottish songwriter introduces herself with a confident album and sensitive songs. Karine is very Good and now she’s just one step away from being Great.

La scozzese Karine Polwart, nonostante appena venticinquenne, è una veterana della scena e nel 2003 a vinto il Guild degli autori emergenti per le sue doti compositive. “Faultlines” dimostra che il premio non è stato consegnato a caso. Prodotta da Rob Noakes, una conoscenza per chi frequentava le scene dei primi settanta, l’album è ricco di spunti mai scontati. Non vi è una propria scuola scozzese a venire alla luce quanto un modo di concepire le melodie che riporta a un passato atavico, interiore. Il disco è invece carico di elettricità anche nei passaggi più intimi. Ci pensa il batterista Mattie Foulds a dare mordente a tutto e il fratello di Karine, Steven, a ricamare con le chitarre sotto la guida di Noakes. La Polwart, da parte sua, fa di tutto, per evitare termini comparativi. In “ Revolution Road “ sfrutta la voce per creare strati di armonie mentre dietro di lei si muove bene la ritmica contrappuntata dal banjo, dal violoncello con la chitarra elettrica a fare da cornice. Quello che, in altre parole, si chiama l’arte di arrangiare così spesso dimenticata.
L’impressione generale su “ Faultlines” è buona, molta buona anche se le composizioni, pur profonde e pregnanti, non ti fanno mai restare a bocca aperta. Questa è però una caratteristica di quelli che hanno molto talento ma si fermano a un passo dalla genialità ( o della follia o più semplicemente del trasporto catartico che qualsiasi ascoltatore di musica riconosce pur senza codificare). La Polwart pare aver rifinito i brani con molta pazienza, come una ottima artigiana; si sente un amore per le composizioni inusuale per una ragazza così giovane e pare che il team di lavoro sia entrato in studio con le idee chiare. Qualcosa però manca per appassionarsi del tutto a Karen.
Un maggior sforzo nella ricerca di una più spiccata personalità vocale potrà servire. Canzoni come “ What are we Waiting for ‘ “ e “ Skater of the Surface “ sono davvero belle e beneficiano di un arrangiamento coerente ed organico ma paiono sfuggirti dalle dita e, pur non volendole cancellare dalla memoria, manca ad esse un gancio che le ancori a te. In “Harder to walk these day than run “ l’autrice si muove in un territorio più tradizionale e il suo stile da vera cantautrice produce un interessante scarto fra lo stile vocale e l’arrangiamento quasi da square dance.
Tutto è bene quel che finisce bene e per il finale di partita la Polwart ed il suo team ci riservano, comunque, i brani più belli della raccolta, l’acustica “ the light on the shore “ e l’elettrica “ Azalea Flower “ che portano a termine l’album di una emergente che non nasconde, e a buona ragione, velleità.

Ernesto de Pascale


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