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Paul Anka - Rock Swings
(Universal)

Mi trovo sulla scrivania questo album e, guardando la copertina, come prima cosa mi viene da pensare che il sessantatreenne Paul Anka potrebbe partecipare, con buone probabilità di vincere, al premio per il miglior lifting del decennio.
Infatti ha un viso perfetto, la pelle liscia e la capigliatura nerissima tirata indietro, senza il minimo accenno di ribellione da parte di un solo capello: un diciottenne tradito solo da qualche piccola ruga di fianco agli occhi.
E davvero me lo ricordo poco meno che diciottenne quando lo vidi a Milano nel momento del suo maggior successo, se non erro al Teatro Lirico, e lo ascoltai cantare le sue hits, da “Diana” a “You are my destiny”, a “Crazy love” e via dicendo.
Nonostante fossi anch’io giovane e mi piacessero molto le sue canzoni, lo spettacolo non mi soddisfò particolarmente e lui dal vivo mi sembrò addirittura un po’ goffo.
Preso da queste futili riflessioni, ho cominciato a scorrere l’elenco dei brani e un altro pensiero si è affacciato alla mente: se c’è anche un premio per il disco più kitch dell’anno, questo ha sicuramente probabilità di piazzarsi ai primi posti.
Come si può immaginare, invero, di mettere insieme alcuni fra i titoli rock più rappresentativi e trasformarli in swing o in slow, facendoli cantare per soprammercato a Paul Anka, di casa da decenni negli show tutti lustrini e luci di Las Vegas?
Ma me l’ha chiesto un carissimo amico al quale non mi sognerei mai di dire di no, perché vuole sapere cosa ne penso, e così mi accingo all’ascolto, anche se un po’ perplesso e pronto a tutto.
Parte “Eye of the tiger” che, se non sbaglio, faceva parte della colonna sonora di “Rocky III” e dopo trenta secondi fermo il cd player per controllare di non aver messo il disco sbagliato.
Qui infatti c’è una signora orchestra con dei signori musicisti con un signor arrangiatore e, soprattutto, qui c’è una splendida voce che, se è quella di Paul Anka, è di certo stata sottoposta anche lei a un incredibile e riuscito lifting che l’ha resa uguale a quella di un giovane trentenne.
Ragazzi, dopo averlo ascoltato tutto vi dico che se avete degli euro a disposizione dovete acquistare questo disco, sempre che riusciate a trovarlo, dato che per il momento esiste solo di importazione in quanto per ragioni non ben comprensibili la Verve, che dovrebbe distribuirlo in Italia, ne ha rimandato l’uscita a fine luglio (voci dicono addirittura a settembre): se questo succede con un album del genere, non bisognerebbe più meravigliarsi se il mercato poi fatica a muoversi.
Vi troverete una raccolta di alcuni dei brani rock più belli degli ultimi anni, tra i quali “Wonderwall” di Gallagher, che diventa un imprevedibile e fantastico swing, “Blackhole sun” di Cornell, “Smells like teen spirit” di Coban, che credo piacerà anche ai più sfegatati fan dei “Nirvana”, “Tears in heaven” di Clapton, ecc.
Ogni brano è curato come meglio non si potrebbe ed ogni esecuzione, sia dal punto di vista vocale che musicale, ha qualcosa da dare e da dire con atmosfere e interpretazioni di alto livello e di grande resa, con più di un omaggio a Sinatra, tra l’altro grande amico di Anka.
A chi potrà piacere questo disco? Mi auguro a tutti, amanti del rock e appassionati dello swing: la condizione essenziale è che non si creino degli steccati mentali che impediscano a un genere di confluire nell’altro.
Un’ultima considerazione: ogni tanto si sentono lagnanze e rimpianti sul fatto che non si scrivono più canzoni che rimangono nel tempo e ci si rifà puntualmente agli standard di Porter, Gershwin, Berlin, ecc.
Uno dei pregi di questo album è che ci fa scoprire quanto nel rock ci sia di buono a livello di melodie, solo che ci mettessimo ad ascoltarle senza lasciarci sopraffare dalle chitarre distorte e dalle batterie omogeneizzate: i tappeti orchestrali e gli arrangiamenti che sostengono Paul Anka ci consegnano la nuova dimensione musicale dei brani, alcuni dei quali potrebbero aspirare ad essere considerati gli standard di domani.
Sorprendente.
Rinaldo Prandoni
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