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Beth Orton
Montreux Jazz Festival, 8/07/2003

Beth Orton è originale, sufficientemente autorevole per reggere una serata sfaccettata come quella di questa sera, 8 luglio, qui alla Miles Davis Hall di Montreux. Prima di lei Brendan Benson ha dato dimostrazione di buon potenziale inespresso, ma il pubblico è tutto per i Flaming Lips. A lei il compito, in parte infelice, in parte ciò che qualsiasi musicista ambirebbe fare e cioè dimostrare di avere tutte le carte in regola per essere un artista.
La Orton queste carte le ha tutte e tutte timbrate. Può lanciarsi adesso anche se ha ancora bisogno di qualche piccolo paracadute. Canta canzoni eteree, ma sorrette da molti strumenti a corda (2 chitarre a volta acustiche, un po' meno elettriche, contrabbasso, un violino ed un violoncello) che la sorreggono quando il volo pindarico della sua voce sale su come Icaro e rischia di cadere giù come chi ha voluto puntare troppo presto verso il cielo aperto.
Sogna a occhi aperti la Orton, fa sognare chi non ha mai conosciuto Tim Buckley ed è già troppo giovane per sapere molto di suo figlio Jeff.
Beth suona e canta canzoni originali con una certa attitudine inglese, la sua voce tocca registri flautati ma è nel groove più solido, e cioè quando torna a terra, che convince di più. In questo dimostra di aver bisogno ancora di tanto suono mentre lei scrive con poco, pochissimo – ci è parso - ma forse ancora senza il coraggio di spogliarsi nuda. Operazione difficile che comunque la cantautrice britannica tenta più volte nel corso dei suoi 75 minuti , a volte rischiando senza successo, a volte centrando l'obbiettivo. Non bastano i dischi fatti fino adesso, forse maggiormente a fuoco del suo set, a farcela passare di categoria. Il traguardo è lì ma ancora non raggiunto.
Quando riuscirà a tagliare il nastro, e ci riuscirà!, allora comincerà la vera scommessa. Per il momento Beth Orton sperimenta in tempo reale con qualche risultato. Al prossimo giro ne sapremo di più.
Auguri,intanto!

Ernesto de Pascale


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