Country, west and love: le sorprese di Bobby Solo
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Country and Blues roots in life and songs of one of the well-known italian pop musician
Lui stesso dice di essere Dr. Jeckyll e Mr.Hyde. Perché se da una parte ha calcato i paloscenici della canzone tradizionale (Sanremo per primo) dall'altra ha coltivato una grande passione per il country, il blues e i grandi autori americani. Tanto che recentemente l'etichetta Azzurra ha pubblicato un suo tributo a Johnny Cash (Homemade) e un altro a John Lee Hooker (The songs of John Lee Hooker-Boom Boom and more... ). Il Popolo del Blues non poteva non saperne qualcosa di più di Bobby Solo nella sua versione “Mr. Hyde”. Perchè ci sono tante cose negli anni di attività di questo artista che pochi sanno e di cui invece è bene parlare.
Partiamo da una curiosità. Il nostro direttore, Ernesto de Pascale, si ricorda di una sua esibizione al Vigorelli di Milano poco prima di quella dei Led Zeppelin nel 1971. Nell’occasione ascoltò da lei Mistery Train, e si rammenta di averla vista suonare una Fender. Le viene in mente qualcosa di quel concerto?
“È possibile, perché conosco questo pezzo di Elvis da un’eternità. Ho anche cantanto altri pezzi di Presley quando andai al Palermo Pop Festival. Nel 1971 frequentavo un organizzatore di jazz di origine siciliana che però era nato a Brooklyn e che si chiamava Joe Napoli. Una persona meravigliosa: quando io avevo 30 anni circa lui ne aveva 57 e aveva lavorato come impresario di artisti jazz a New York, Los Angeles e Chicago. Siccome era di origina italiana aveva una grande simpatia per me e mi inserì in questo festival a Palermo nel quale c’erano i Colosseum, Aretha Franklin, James Brown. Ricordo bene quell’occasione, feci anche un pezzo di Elvis, anche se non so dire quale dopo tutti questi anni. Tornando al Vigorelli, è molto probabile l’episodio ricordato da de Pascale, perché ho sempre avuto nel mio “arsenale” due Telecaster e due Stratocaster (una di color argento)”.
Passiamo invece a una delle sue produzioni meno conosciute, Le Canzoni del West.
“Quella fu un’operazione fatta grazie al dottor Vincenzo Micocci, grande amico (anzi per me un padre spirituale), che mi ha sempre consigliato di usare la mia voce, dato che più pastosa e meno aspra, incidendo pezzi di Dylan. All'epoca non lo ascoltai; solo ora nel tributo che ho dedicato a Johnny Cash, ho messo due pezzi di Dylan. Sono venuti benissimo, tanto che che il club ufficiale italiano dei fan di Dylan Maggie’s Farm, mi ha mandato un sacco di complimenti e tutti gli iscritti hanno comprato il Cd. Ma, ripeto, all’epoca non ascoltavo i consigli di Micocci perché ero un fan di Elvis. Poi ho avuto varie trasformazioni, e ora mi piacciono musicisti come Cash e Willie Nelson (il mio idolo in asoluto). Tornando all’album penso sia stato pubblicato nel 1966 o il 1967 dalla Ricordi. Io avendo il ciuffo e suonando la chitarra, a parte Presley (anche se Little Tony ci assomigliava di più) davo ai discografici l’idea di un cowboy. Allora il country era più percepito nella linguaggio country & western. Devo però sottolineare che in quegli anni avevo avuto una gran fortuna”.
Quale?
“Nel 1965 la Ricordi aveva perso il catalogo Cbs e io avevo potuto acquistare quello promozionale che era stipato nei magazzini dell’etichetta. Si trattava di 600 Lp (poi negli anni ho perso tutto a causa di varie vicissitudini) con incluso il catalogo country & western. Quindi mi sono fatto una cultura in materia e una 'scorpacciata' terrificante: da Marty Robbins a Hank Thompson, da Webb Pierce, Skeeter Davies, Lester Flatt, i Deniros ai famosi Minstrel con i quali poi ho lavorato. Ho ascoltato e “consumato” tutto questo materiale. E quindi alla Ricordi, vedendo che canticchiavo spesso questi pezzi, decisero, grazie alla volontà di Micocci, di incidere l’album. Io vorrei voluto, e forse lo farò, rivisitare queste canzoni in chiave tex-mex alla Bill Frisell o alla Ry Cooder, chiedere l'autorizzazione di intitolare l’album Tex Willer e metterci in copertina proprio un’immagine di Tex”.
Qualche anno dopo fece a Canzonissima una canzone proprio in stile Tex-Mez, Siesta.
“Certo. Poi avendo una moglie americana di origine asiatica, ho accesso con lei alla base di Aviano dove ci sono tanti soldati ispanici. Lì ho comprato dei dischi messicani, come i mariachi, e non escludo di buttarmi su quel tipo di sonorità, di colore, senza però cadere nella trappola di un liscio dal sapore messicano. Potrebbe funzionare, solo che è sempre tanto difficile trovare qualcuno che oggi distribuisca i dischi. Le major puntano sui giovani, e poi perché probabilmente in Italia la gente non è a conoscenza di un mondo che io, come lei che mi intervista, conosciamo. Forse è una percentuale dell’8/10 %”.
Passiamo alle sessioni con Sneaky Pete dei Flying Burrito Brothers.
“Nel 1975 io aprii uno studio di registrazione con il primo banco Neve, un oggetto che oggi se lo può comprare chi ha un miliardo e mezzo/due miliardi di lire da spendere. Io lo pagai nel 1975 37 milioni, lo feci venire in Italia accompagnato da due tecnici con la bombetta come fossero ad Abbey Road. Chiesi perché costava tanto, e mi spiegarono che avevano dei trasformatori d’uscita speciali, tanto che in lavorazione su mille ne scartavano più di 500 perché non perfetti. Ebbi da Alfredo Cerruti, direttore della Cgd di Caterina Caselli e Pietro Sugar l'incarico di fare un disco di country rock perché era appassionato di questo tipo di musica. Mi dette un budget e la prima cosa che feci fu quella chiamare il giornalista della Rai e amico Franco Schipani che conosceva anche il produttore Corrado Rustici, gli dissi che mi serviva un chitarrista di Pedal Steel e lui mi parlò di Sneaky Pete che io conoscevo solo dai dischi. Quindi arrivò in Italia quest’uomo con i baffi biondi e un aspetto alla Chuck Norris, con la sua Pedal Steel che era tutta orlata. Aveva infatti ritagliato delle giarrettiere femminili e aveva costruito una specie di gonna attorno allo strumento!”
Un personaggio incredibile...
“Ma questo è niente: con la Pedal Steel mi ha suonato una volta una fuga di Bach, che di solito viene fatta al clavicembalo. Era anche compagno di palestra di karate di Bruce Lee a Los Angeles e mi raccontava tutti gli aneddoti. Sulla Pedal Steel c’era attaccato l'elenco dei brani che doveva fare, io gli suonai i miei pezzi e lui con sincerità mi disse 'Nice chord, Nice progression'. Poi uscì il disco con il titolo Love: ne ho una copia sola. Me l’hanno data dei collezionisti perché purtroppo questo disco interessò poche persone. Furono stampate 3000 copie di vinile circa perché in quel periodo la Cgd puntava sui Pooh e altri prodotti italiani. C’è anche mio figlio in copertina, a cui ho fatto recentemente da testimone al matrimonio e che allora era un pupetto di 8 anni con i capelli biondi. Volevamo fare una copertina alternativa e lo mettemmo dentro un camion di colore rosso mattone con i vetri rotti che si trovava in un cimitero di automobili. Io avevo pure i capelli lunghi che andavano tanto di moda”
Come si chiamava lo studio?
“Con il nome dei miei due figli: Chantalain (Chantal e Alain). Posso dire con orgoglio che da me sono venuti molti artisti emergenti di quel periodo, Napoli Centrale, Toni Esposito, Oscar Prudente, Umberto Tozzi, un sacco di gente in gamba. Lavorai anche come tecnico del suono con i Napoli Centrale nel disco Mattanza, perché il loro si ammalò. Se lei vede il vinile c'è il mio nome vero, Roberto Satti, con tanto di premio della critica giornalistica per la miglior registrazione. James Senese mi disse: 'anche se tu non sei un tecnico perfetto, hai l’orecchio musicale e noi ci fidiamo di te’. Io ne ero onoratissimo. Devo dire che tramite quello studio ho conosciuto Pino Daniele, che venne a fare un provino: io poi l’ho presentato a Tibaldi della Emi, ed è diventato il grande artista che conosciamo. E poi ricordo Robert Fix, Pippo Guarnera, Rita Marcotulli. Solo che non ero un uomo d’affari e lo studio poi fallì. In fondo sono nato per cantare e suonare la chitarra”.
Torniamo al recente tributo a Johnny Cash e alla sua passione per il country-rock
“Country-rock è una parola larga che abbraccia molte tendenze. Io per esempio già nel 1975 avevo i dischi di Tony Joe White, un cantante che raccomando a tutti gli appassionati. Lui suonava un genere che si chiamava swap-rock, il rock della palude, e viveva al confine tra Texas e Messico (precisamente a Corpus Christi). Scaricatevi tutto quello che potete e comprate quello che trovate, anche all’estero. Con il disco tributo a Cash ho addirittura avuto 4 stellette dal Buscadero e francamente il direttore Carrù non è uno che regala consensi. Mi disse: 'se è brutto, non lo recensisco per non rovinarti'. Ma dopo una settimana mi chiama e dice con cadenza milanese: 'Hai rischiato grosso, hai rischiato di fare una cosa ridicola. ma questo disco ha un grande cuore, un cuore immenso e io gli do 4 stellette'. Pensi che si chiama Homemade perché l’ho fatto a casa mia, missandolo e masterizzandolo altrove. Ho usato un plug-in con il computer per la batteria e il basso l'ho suonato io. Poi ci ho messo dentro tre pezzi di Dylan con i consensi che ho ricordato prima. Mi è arrivata una mail da un Dj 27enne del New Jersey che lo passa regolarmente in radio. E poi incoraggiato da questi consensi, ho fatto un tributo a John Lee Hooker. Questo disco è stato portato in america da un organista hammond che ha suonato con me, Bruno Marini, e gli hanno fatto i complimenti”.
Ernesto de Pascale, Tony Joe White e Bobby Solo
La musica della pubblicità del 1288 sembra fatta da lei...
"Si sono io, anzi sono contento che l’ha notato, perché un sacco di persone l’associa alla voce di Renzo Arbore. Invece l'ho fatto io. Si tratta di una cover di un pezzo di Roger Miller (King of the road) il cui disco comprai nel 1966 in una delle mie 21 tournée a New York e Stati Uniti. Mentre i miei musicisti andavano in giro a cercare fortuna io rimanevo in albergo con il mangiadischi a pile: prima però compravo le batterie e poi andavo al negozio Sam Goodies sulla 57a e mi pigliavo tutti i 45 giri tipo DJ Thomas, Fifth Dimension e tanti altri. Compravo 50/60 singoli alla volta”.
Questo repertorio riesca a proporlo dal vivo?
“Sono come Dottor Jeckyll e Mr, Hyde per non deludere un certo pubblico. Quando sono nei club faccio blues e rock, ma all’aperto nelle feste patronali, o nella sagre della ranocchia e al festival dei trattori, devo fare Una lacrima sul viso e Non c’è più niente da fare. Sono affiancato dal gruppo di Celentano, i Ribelli, che propone i pezzi di Adriano. E io faccio i miei successi”
Michele Manzotti