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James Hunter



Meet James Hunter


“Non è stata una scelta intenzionale quella di ispirarsi a Sam Cooke ma quando me lo hanno fato notare, non me lo sono fatto dire due volte e ho terminato di scrivere il mio nuovo disco in quella vena”.
E’ la confessione cuor serena di Jaqmes Hunter, tre album alle spalle, una carriera sempre in salita iniziata nel 1991 nei locali da ballo a Nord di Londra, chitarrista, cantante, compositore che viene additato da tutti oggi come il più diretto discendente della stirpe facente capo al grande cantante nero scomparso tragicamente nel 1964.

“Pensa – ci dice raggiunto al telefono usaste New York dove sta riscuotendo successo un suo tour di club e ballroom – che l’album era nato come una collezione di singoli, senza una casa discografica e senza una strategia precisa.
Pensavo soprattutto a lavorare in quel periodo: germani, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, sulle navi da crociera. Il mio secondo album era affondato miseramente ( venne prodotto dall’etichetta tedesca Ruf) che lo aveva pubblicato e del primo ( inciso nel 1996 su Ace records, con Van Morrison e la compianta Doris Troy ospiti ) nessuno se ne ricordava più. Poi – continua con entusiasmo – le cose sono improvvisamente girate in un’altra maniera”.
Nel 2004 infatti James Hunter incontra Liam Watson, proprietario dello studio londinese Toe Rag, l’unico studio nella capitale a utilizzare equipaggiamento rigorosamente d’annata, vintage, senza nessuna concessione alla tecnologia moderna in fase di ripresa sonora. E’ lì che The White Stripes incidono “White Elephant” il cui successo pubblicizza e promuove lo studio e lo stile di lavoro.
Prosegue James:“ Quando ho incontrato Watson è stato subito chiaro che volevamo la stessa cosa! Ci siamo trovati subito a nostro agio. Non c’era da fare molti discorsi ma solo da suonare e la mia band, siamo insieme dal 1991, era pronta. Abbiamo cominciato…sperimentando, diciamo così. Tornare sui propri passi non è mai cosa facile e a volte può essere addirittura doloroso, devi ridurre le possibilità che la tecnologia altrimenti ti dà e concentrarti su un paio di cose soltanto : le canzoni e la qualità dell’interpretazione che per me, in qualità di cantante, è un onere importante da sostenere”.
E visto che nessuno comprerà mai un album per il suono di chitarra o per un assolo – a meno che tu non sia un mostro sacro – James Hunter, chitarista per altro straordinario, a metà strada fra B.B.King ed Ernest Ranglin – ha tirato fuori una classe impeccabile in ogni singolo brano, perfettamente tornito sulla sua voce.
“E’ stato un lavoro lungo – aggiunge – ma, come dicevo prima, fortunatamente è il lavoro che svolgo sempre quando compongo e l’idea di collezionare le ultime canzoni scritte e registrate in un album è arrivato solo alla fine delle sedute. Non abbiamo mai lavorato sotto pressione o con l’assillo di dover soddisfare qualcuno. Volevamo solo soddisfare noi e se il groove era giusto andavamo avanti, perché il groove viene prima di tutto – esclama con una certa soddisfazione al telefono e conclude –il resto viene dopo !”.
Nel panorama attuale James Hunter è un po’ una mosca bianca e potrebbe trovare facilmente un proprio posizionamento. Questo non vuol dire né diventare famosi, né diventare ricchi.


“ Sono problemi che non mi pongo più se mai me li sono posti. Mi interessa la musica e la condivisione della musica con altri musicisti. Van Morrison mi ha insegnato moltissimo. Prendi lui: un disco di skiffle, uno di blues, uno dedicato di country dove poi scopri che le sue canzoni sono all’altezza di quelle degli anni trenta – riflette serio Hunter - . Il mio sogno – confessa – è far parte di un gruppo vocale, il massimo in quello stile sono The Five Royales il cui chitarrista Lowman Pauling resta per me un punto di riferimento come strumentista così come vocalmente il mio principale ispiratore è Little Willie John ( sono entrambi artisti che incidevano per l’etichetta King e dai quali il giovanissimo James Brown saccheggiò a piene mani ).
“Comunque –dice con una certa malizia– mi sarei accontentato anche solo di far parte della bella scena di Northern Soul degli anni settanta. Frequentavo quei locali e mi ricordo i dj con canzoni bellissime e un pubblico veramente rilassato. Ero solo un ragazzo ma sognavo un giorno di ascoltare le mie canzoni suonate in quelle sale e sulle onde delle stazioni radio che in Inghilterra proliferavano in quel periodo. Sapere che oggi c’è interesse per me, da una parte all’altra dell’Oceano, soprattutto conoscendo bene i tempi correnti e come essi sono cambiati, mi pare già un miracolo. Mi accontento di questo. Il resto lo faranno le mie esibizioni dal vivo”.
James Hunter non mente; sentirlo suonare è un piacere anche se non cambierà il corso della musica. “ Inutile infarcire la gente di concetti e slogans; la musica buona si lascia riconoscere da sola. Lo sai quali sono i dischi che mi stanno più cari nella mia collezione ? Quelli che sono giunti al limite estremo della consunzione. E’ da lì che capisci se una canzone o una raccolta di canzoni ha o ha avuto per te un qualche valore. Le considerazioni più alte le lascio volentieri ai critici”.
E termina.” Prova a suonare sei mesi su una nave da crociera e poi ne riparliamo”.
Ci penserò su. Intanto preparo il repertorio. E il suo, a intuito, non dovrebbe andare troppo male.

Ernesto de Pascale

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