Dinosaur Jr
Roma, Qube 30.05.2006
Due sono le cose che subito saltano a gli occhi. La prima è la mancanza della ressa per entrare. La seconda, una volta dentro, davanti al palco, ti chiedi dove mai si metteranno a suonare, visto che lo spazio è irrimediabilmente occupato dagli amplificatori. Quando poi, da buon dinosauri, sbagliano l’entrata sul palco e si ritrovano zombizzati sotto quest’ultimo, tutto diventa chiaro.
Mascis si presenta con un improbabile colore di capelli, sul biondo incerto si direbbe, con movimenti tipo ultimo Ozzy, e la sua jaguar. Barlow, invece, indossa elegantemente un rickenbacker. Entrambi sono sormontati da una montagna di casse alle loro spalle. Per completare questo piacere egoisticamente estetico, questo bel vedere, per lo più perduto ai giorni nostri, Murph si accomoda tra pochi piatti, dietro fusti non sobri ma eleganti.
Ci stanno quasi a fatica su quello spazio antistante le casse e dopo il primo accordo ci si rende immediatamente conto che la musica da camera è lontana anni luce da qui. Esagerati. Musica a un volume tale che già dopo il primo pezzo ti fischiano le orecchie. Certo Il Qube non è l’auditorium di Piano e già entrando ti si mette l’animo in pace sulla qualità sonora del luogo. Ma per la serata si intuisce da subito che l’acustica poco importa di fronte a bordate sonore di tale portata. C’è sola da imparare da questi tre. I suoni di chitarra sono quelli dei dischi, il basso, suonato alla Johnny Ramone, non si distingue ma si sente che c’è: la batteria è una macina che picchia per sopravvivere al muro sonoro dei mareshalloni. L’unica pecca è la voce che, inevitabilmente, non è più quella di una volta. Ma poco importa: i Dinosaur Jr danno soddisfazione. Sei contento di essere lì, di ascoltare quegli attacchi delle strofe un po’ tutti uguali tra loro, quei piccoli intermezzi di chitarra con il tremolo che coprono tutto il resto, quelle rullate esasperate, quegli accordi picchiati di basso distorto che fanno venire voglia di suonare. La loro quasi quiete piena di dirompente energia, le soluzioni classiche ma mai scontate neanche a distanza di tanto tempo, in cui si ritrovano diverse caratteristiche della musica rock da svariati anni a questa parte: questi tre ex Jr avrebbero molto da insegnare agli esagitati gruppi del nuovo rock.
Poco conta se il tutto dura un’oretta e venti, poco conta se i giovani d’oggi non sanno chi sono, poco conta se (ri)suonano insieme per questioni molto pratiche. Quello che conta è l’ammirazione dei pochi accorsi all’evento, sono le facce soddisfatte, alcune spudoratamente soddisfatte, del pubblico pagante. Gli amplificatori vengono spenti e usciamo da lì con la speranza che questa specie di dinosauro non si estingua mai.
Pierluigi di Stefano