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Intervista a Jack Bruce
Jack Bruce ha raccontato sé stesso e la sua carriera in una lunga intervista in occasione della pubblicazione del cofanetto antologico di 6 cd Can You Follow. Una occasione per andare a fondo sui suoi quasi cinquanta anni di carriera. La storia infatti inizia molto indietro nel tempo e - professionalmente - in un luogo per lui “esotico e magico”: l’Italia, più esattamente Milano. Era il 1957.
“Appena uscito dal conservatorio di Glasgow ricevo questa proposta inattesa: partire per l’Italia ed esibirmi in una orchestra di Varietà. Pensavo sinceramente che il varietà non esisteva più - da noi in Inghilterra quel genere di spettacoli erano scomparsi con la seconda guerra mondiale - ed invece mi ritrovo, appena diciassettenne, fra Go Go Girls, maghi, prestigiatori, comici e cantanti. Per farla breve sarei rimasto in Italia, a Milano, fino al 1961 vivendo una situazione in totale evoluzione: mi ricordo ancora perfettamente i primi rockers come Celentano, il movimento alternativo delle cantine e dei nuovi gruppi. Per me era tutto nuovo e mi divertivo moltissimo. Ma dopo quattro anni non ne potevo davvero più! Capii che se volevo fare la carriera del musicista professionista dovevo tornare in Inghilterra e andare a vivere a Londra ”.
Sarà il sassofonista Dick Heckstall Smith a introdurlo in un mondo nuovo da cui non sarebbe più uscito.
Cosa accadde, mr Bruce ?
“In quegli anni mi ero totalmente intriso di Jazz. Dopo l’esperienza al Conservatorio e alcuni momenti per me totalmente catartici come l’aver visto Shostackovich in persona esibirsi, il jazz aveva preso il sopravvento e vivevo all’ombra di Charlie Mingus, anzi a dire il vero, penso che l’intera mia carriera sia segnata dagli insegnamenti di Mingus. Poi c’era gente come Scott La Faro e i padri del nuovo jazz inglese coma Paul Lyttleton e Chris Barber. Heckstall Smith, forse il prediletto di Barber e più giovane di lui, mi introdusse nel mondo del jazz inglese attraverso la porta del nascente movimento blues britannico. Fu così che mi ritrovai con Alexis Korner e Cyril Davies, due colossi, due personaggi incredibili, forze della natura, gente capace di spostare una montagna pur di ottenere ciò che volevano, dotatati di una caparbietà e una integrità incredibile. Per me l’esperienza con loro è stata una grandissima scuola di vita. La prima cosa che ho imparato da loro ? Parlare poco e solo quando si ha qualcosa da dire!”.
Con l’avvento dell?American Folk Blues Festival sul territorio inglese e la nascita del primissimo British Blues Boom le cose cambiano e si evolvono in breve tempo.
“ Voglio specificare per i lettori di questa intervista che Londra era una cosa e ben altra cosa era la provincia. Bastava fare 10 miglia fuori città per capire che le cose stavano in altra maniera. La connotazione della musica inglese fino a quel momento era stata prevalentemente light, leggera, da sottofondo, da radio, da ascolto senza impegno. Con il Blues entravano in gioco voci potenti, roche, di ispirazione negroide, strumenti per la prima volta elettrici, una nuova generazione veniva a galla grazie a gente come Giorgio Gomelsky e ai Rolling Stones. Fai attenzione, i Beatles per molti erano sì una novità ma fortemente legata alla tradizione britannica della light music, solo dopo un po’’ si fortificarono, all’’inizio i puristi li guardavano come un novelty act.”
Cosa accade nel blues inglese in quel breve periodo che va dal 1963 al 1966 ?
“Alexis Korner viene praticamente scavalcato da John Mayall che aveva una visione totalmente chicagoana del blues e tutto questo mentre i Rolling Stones facevano la figura dei bad boys of rock & roll (ti posso assicurare che non c’è persona più tranquilla di Charlie e che Brian era totally committed to music!, mi specifica mr Bruce), ma io comincio a capire che ci deve essere altro. Il primo segno di diversità per me è però non tanto musicale ma umano quando incontro Graham Bond, un personaggio che non basterebbe una vita per spiegarlo, e Ginger Baker, un altro jazz nuts, il mio sparring partner preferito ma anche il mio Nemico Uno.”
Nasce così con l’aggiunta di Dick Heckstall Smith, la Graham Bond Organisation
“Una specie di carro armato del blues, una band insuperabile nelle serate d’oro, inascoltabile in quelle No. Capisco, insomma, forse per la prima o seconda volta, che sono gli uomini a fare la musica che suonano e non viceversa. Registriamo album come Sound of 65 in 3 ore e giriamo l’Europa del Nord con uno scalcinato pullmino Wolksvagen costretti a sopportare le follie di Bond (e non avevamo ancora visto niente!) ma allo stesso tempo sviluppiamo un genere originale, non riproducibile da nessun altro - ascolta Solid Bond e dimmi ! - grazie anche alla presenza di un giovanissimo John Mc Laughlin, un musicista sul quale tutti scommettevamo se non fosse stato per l’eroina. Però il peso delle privazioni stava diventando troppo grande: da una parte Bond, dall’’altra i litigi costanti con Ginger, poi Mc Laughlin ed infine il mio matrimonio mi costrinsero a lasciare il gruppo”.
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Il 1966 sarà infatti l’anno d’oro di Jack Bruce. Fra febbraio e Giugno Jack suona con Mayall, con Manfred Mann ed infine forma i Cream. Come è mai possibile questo?
“Ero un uomo sposato con un figlio piccolo, dovevo far vivere la mia famiglia ma allo stesso tempo non volevo distruggere l’identità che mi stavo costruendo. Così resto nei Bluebreakers di Mayall il tempo di incontrare da vicino Eric (Clapton) e scambiare con lui qualche parere sulle cose del blues e poi mi unisco brevemente a Manfred Mann. Con Eric però ci eravamo subito presi bene. Lui aveva lasciato gli Yardbirds fondamentalmente perché era sicuro che loro non avrebbero mai avuto successo (questo conferma le parole di Gomelsky, leggi mia intervista JAM n…) mentre lui voleva fare una band di blue CONTEMPORANEO, moderno, originale”.
L’asso nella manica però è non all’’interno del trio in via di definizione, bensì al di fuori, nel ristretto cerchio dei collaboratori.
“Avevo conosciuto qualche anno prima questo brillante poeta che scriveva testi molto vicini alla beat generation e condividevamo un amore spassionato per Charlie Mingus. Il suo nome è Pete Brown. Pete scriveva immagini bellissime ricche di catch phrase tipo Sunshine of Your Love. Dimmi se non è un genio un paroliere che riesce a scrivere una frase così in una canzone rock! Brown aveva gusto armonico pronunciato, amava le avanguardie ma il suo cuore era radicato nel blues. Alla nascita dei Cream mi resi conto che il suo apporto sarebbe stato fondamentale”.
I Cream nascono quindi con le idee chiare!…
“Molto chiare. Brown, per nostra fortuna e sua attitudine, era un tipo che volve restare off, sul borderline del sistema - era molto preso dalla nuova scena giornalistica inglese, It, Oz e altro - mentre noi eravamo sicuri di voler essere i Beatles del British Blues Boom. E proprio ai Beatles ci ispirammo per I Feel Free. La nostra musica doveva avere il sapore del nostro tempo!”.
E così fu, ma solo per poco tempo.
“Una delle nostre finalità era portare il nostro linguaggio in America consci del fatto che l‘America era molto positiva sull‘‘onda della beatlemania. Il fatto è che il nostro Management, Robert Stwigwood Organisation, lo esportò solo lì!”.
E così spiega le logiche del gruppo.
“I Cream erano formati da 3 musicisti, un autista e due tecnici. Pete Brown può considerarsi a tutti gli effetti uno di noi ma i nostri assi nella manica erano anche Felix Pappalardi, nostro produttore, un musicista sempre capace di finalizzare le idee - si senta cosa riusciva a fare con i piccoli sketches musicali che Ginger portava nei nostri album i studio - pronto a motivarci su tutto e Tom Dowd, ben più che un ingegnere del suono, un genio nel suo campo che ci spingeva sempre oltre dal punto di vista tecnico. Ahmet Ertgun fu invece una specie di padre premuroso e creativo (fu Ertgun a proporre a Clapton di cantare Sunshine Of Your Love, una proposta che non fece contento Jack!)”.
Cosa non andò allora nell’’entourage dei Cream da portarli a quella che tutti considerarono una prematura scissione ?
“Tutto era ok nel nostro entourage e lo scioglimento fu programmato con cura. Eravamo stanchi di suonare per degli americani totalmente sconvolti e noi, giorno dopo giorno, ci stavamo consumando, abusando pure noi. Noi avremmo voluto suonare in Giappone, in sud America, in Europa suonammo pochissime date. Non andava bene così. L’unica soluzione era lo scioglimento”.
Intanto però Bruce non si era dimenticato del suo primo amore, il jazz.
“Ho sempre tentato di avere una mia autonomia artistica. Ricordo quegli anni come fra i più felici della mia vita: ero ricco, ero giovane, con una bella famiglia e in grado di fare ciò che volevo“.
Nascono da questi presupposti alcuni dei capolavori di Jack Bruce: Things We Like, Songs for a Tailor, Harmony Row.
“ Accadde tutto in meno di due anni. Things We Like - registrato nella primavera del 1968 prima dello scioglimento dei Cream ma pubblicato nel 1969 - era un disco di impatto, pensato per guardare avanti“.
Things We Like fu il disco che permise a Mc Laughlin di comprare un biglietto di aereo e raggiungere Miles Davis.
“Lo incontrai per strada e gli diedi un passaggio, il giorno prima di entrare in studio. Mi confessò che era squattrinato e che aveva questa prodigiosa possibilità. Per me fu un onore e mi sentii così realizzato di potergli offrire una seduta ben pagata e renderlo finalmente felice. Era un modo per allontanarlo da una scena di junkie che lo stava distruggendo e lui sapeva che andare altrove sarebbe stata l’unica via di fuga per lui”.
Sono di quegli anni i due migliori album da solista di Jack Bruce, Song for a Tailor e Harmony Row, dischi che contengono gemme immortali come Theme From An Imaginary Western, You Burned the Tables On me, Folk Song, never Tell You Mother She’S Out of Tune, Ticket To Waterfall.
“Pensa - mi dice - che Theme From An Imaginary Western la avevo scritta per i Cream già nel 1967 ma loro non vollero suonarla. Eric mi disse che era troppo melodica e Ginger, riproposta un anno dopo, mi disse che assomigliava a The Band, come se una ispirazione di tal portata, potesse essere considerata negativa! Mentre io la avevo composta pensando alla chitarra solista di Clapton!”.
Non contento dei suoi album solista, Bruce ha tempo intanto per un altro straordinario progetto, di breve durata, ma ricordato dallo scozzese con grande enfasi.
“Mc Laughlin mi aprì la porta del nuovo jazz americano. Mi sentivo come un bambino che mette le dita nel miele quando la mamma non c’è! Era un sogno poter suonare con gente come Tony Williams.”.
Incredibile a dirsi ma l’impressione che traggo parlando con Bruce è che il jet set del rock non sia mai stata la sua dimora fissa.
“Esatto. Il mio cuore è nel jazz, mi esaltava l’idea di avere a che fare con Carla Bley e poter far parte della Jazz Composers’ Orchestra (una esperienza che manca dal box “troppo complicato avere i diritti” taglia corto Jack) oppure suonare a fianco di Larry Young, un genio dell’organo hammond, mai abbastanza ricordato, in grado di tirar fuori suoni impossibili anche da strumenti giocattoli! Per me il mondo del rock aveva direttamente a che fare con i musicisti con cui ero cresciuto e poco altro, non di certo con i toni glam che stava andando a sviluppare”.
Nonostante questo Bruce sarebbe riamsto uno dei più lucidi artisti in grado di veder oltre la punta del suo naso, capace di immaginare un power trio ogni volta diverso : Gary Moore, Vernon Reid, JimmY Rip, Robin Trower, Leslie West, Mick Taylor sono solo alcuni dei chitarristi che ha voluto al proprio fianco e con ognuno di loro ha condiviso un progetto diverso.
“I bassisti hanno in generale una grande fortuna : possono guardare la musica dall’alto e dal basso, come un contenitore e immaginare cosa metterci dentro. Essendo legati a un’ancora i bassisti possono scrivere melodie straordinarie - pensa Sting, a Paul McCartney, a Charlie Mingus appunto - e guardare la musica come un direttore d’orchestra. Prendi il chitarrista Chris Spedding ( suona in Things We Like), lui non è un chitarrista convenzionale, devi saperlo immaginare altrimenti non sapresti come usarlo ma se messo al posto giusto è unico nel suo genere”.
Fu però Tony Williams Lifetime a realizzare il suo più intimo sogno armonico.
“La nostra unica limitazione era tecnica. Non avevamo apparecchiature capaci di restituire la grandezza della nostra musica. I dischi della band non rendono giustizia a questa formazione pazzesca. Ognuno veniva da un mondo diverso ma la musica è un linguaggio universale e noi sapemmo fare frutto di questa possibilità. Ci sciogliemmo per non finire totalmente alienati. E appena sciolti John (Mc Laughlin) sviluppò la nostra musica nella sua nuova band, Mahavisnu Orchestra, la cui storia è nota a tutti mentre contemporaneamente Chcik Corea formò Return To Forever.Vuol dire che qualcosa avevamo seminato, no ? Ma non ebbi tempo per crucciarmi più di tanto…”.
All’orizzonte c’era infatti una nuova avventura.
“È colpa di Clive Davies! - dice sornione - fu lui che volle mettere insieme i Led Zeppelin americani ed eccoci qua con West, Bruce & Laing e un sacco di soldi, limousine, donne e droghe a disposizione. Un patimento immenso!. Tante ottime idee e mesi e soldi sprecati a perdere tempo in studio!”.
Cosa andò e cosa non andò in West, Bruce & Laing ?
“il lato oscuro della band fu l’eroina, il lato positivo una mia composizione di cui sono molto orgoglioso ancora oggi, Powerhouse Sod (ascoltatela in una straordinaria versione jazz nel cofanetto di 3 cd Jack Bruce-Spirit, live at BBC con John Surman al sax e John Hiseman alla batteria!) che ha superato a piè pari l’intera discografia del trio. Alla fine ci odiavamo e non ne avevamo alcuna colpa…”
Gli anni settanta sono un periodo straordinario per altri mille motivi per Jack Bruce.
“Avevo cominciato a capire che l’Europa, la Germania in particolar modo, era interessata alle mie proposte, che potevo spingermi un po’ oltre in quel territorio e fu così che mi cominciai a spingere versi nuovi territori, provando soluzioni diverse che mi portarono nei territori di How’s Trick”.
Intanto, nel 1975 Jack Bruce firma un brano che darà il titolo a un celebre album di Frank Zappa, Apostrophe. La storia dietro questa registrazione è quantomeno curiosa
“Con Frank eravamo diventati buoni amici anni prima, già nel 1967 quando lui si esibiva a New York City, espatriato da Los Angeles, al Village - lo fece per un paio di mesi - tutte le sere, in un minuscolo teatro. Eravamo sempre rimasti in contatto. Sapevo che da anni voleva collaborare con me. Un giorno mi convoca in studio per una sovraincisione di violoncello, lo strumento con cui mi sono diplomato, offrendomi una specie di legno insuonabile. Allora si dà un gran da fare a cercarne un altro per tutti gli studi possibili immaginabili ma alla fine della giornata è chiaro che ciò che più lui voleva era suonare in trio elettrico con me, il batterista Jim Gordon ronzava in studio dalla mattina, e fu così che mettemmo su Apostrophe, un vecchio riff che avevo nel cassetto da tempo. Devi sapere- mi dice Jack Bruce - che Zappa nella sua vita voleva più di ogni altra cosa essere una icona rock come Eric, Jimi, Jimmy Page. Era invidioso di loro e lui non era per niente contento di sentirsi etichettato come un genio folle. Probabilmente - riflette divertito Bruce - Apostrophe era la sua rivincita come chitarrista, infatti pubblicò poi tanti dischi come chitarrista (Shut Up and Play Your Guitar). Ci divertimmo moltissimo!”.
Prima di terminare la lunghissima chiaccherata mi premuro di sapere da Jack Bruce se c’è qualche collaborazione che più di altre sta a lui cara.
“Certamente una - risponde veloce. Quella con Kip Hanrahan, uno straordinario assemblatore di talenti, un artista che ha bisogno della più totale indipendenza per realizzare dischi impossibili sulla carta. Tramite lui ho avuto modo di conoscere ed apprezzare mondi musicali diversi, stringere contatti con artisti del calibro di Don Pullen (già pianista di Charlie Mingus nei settanta ) e partecipare a dischi che sulla carta si presentavano impossibili da portare a termine. E inoltre Kip è un estimatore del calcio italiano, mi tiene delle ore a parlare di calcio per poi reimmergersi in questo suo mondo caleidoscopico. Hanrahn è l’anima etnica della New York City che nessuno di noi conosce!”.
Ci salutiamo con una scontatissima domanda sul futuro dei Cream, ma, concordiamo, non poteva essere altrimenti!!!
“Il futuro non è scritto. Adesso Eric è stato impegnato con Stevie (Winwood) ma non escludo nulla. Vorrei molto suonare in Italia, dipende da tante cose, mi stanco facilmente (nel 2003 Jack Bruce ha superato una difficile operazione di trapianto di fegato) ma ho tanti progetti in ponte e la tecnologia aiuta. Ho una piccola casa al mare in Liguria e amo molto la vostra terra. Siete dei veri entusiasti, l’Italia mi ha sempre portato molto rispetto, anche quando le cose non andavano bene (si riferisce al tour con Bond del 1971 quando Bruce scardinò un lavandino del backstage milanese per tirarlo appresso all’organista ). Spero fino ad oggi di avervi ripagato bene“.
E termina con una ultima curiosa riflessione
“La mia carriera ha una caratteristica comune: ogni volta che partiva un buon progetto o c’erano impedimenti discografici, o di line up o che altro. Ma è stato un insegnamento per me: ho capito il valore dell’indipendenza e della libertà artistica nel nome della originalità”.
Ernesto de Pascale
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