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Sigur Ros
Firenze, Giardino di Boboli, 11/07/08

Il concerto dei Sigur Ros era sicuramente l’evento musicale più atteso di questa estate fiorentina low cost: non che la cosa fosse difficile, senza per questo nulla togliere alla qualità della band islandese, di fronte alla pressoché nulla concorrenza, data dalla mancanza cronica di spettacoli di spessore. I Sigur Ros rappresentano sicuramente un’eccezione nel panorama musicale mainstream: sono infatti uno dei pochi gruppi che da sempre è riuscito a coniugare musica personale e di qualità assieme a grossi numeri per quanto riguarda le vendite. Il risultato è il pubblico assolutamente trasversale presente al concerto: dal fiorentino “colto” al metallaro, dal giovane alternativo al b-boy. Il palco presenta un allestimento minimale, quasi spoglio: spiccano in questo deserto scenografico alcuni palloni bianchi appesi dietro i musicisti i quali, si presentano puntuali alle nove e mezzo accolti da un boato del pubblico. Il fatto che i Sigur Ros siano ormai assurti a band di culto lo si capisce anche da questo: il pubblico si spella letteralmente le mani di fronte ai propri beniamini salutando ogni canzone con un’ovazione (a questo proposito... ragazzi va bene l’entusiasmo, ma lasciate almeno che il pezzo sia finito!), per non parlare dei biglietti, esauriti da giorni. Oltre ai quattro islandesi, sul palco trovano posto anche un quartetto d’archi tutto al femminile ed una banda di ottoni in completa tenuta bianca, come la voce di Jonsi, il cantante, che non si rivolge mai direttamente al pubblico se non durante una piccola pausa nata da un inconveniente tecnico.

How’re you feeling???
Good???
Altro boato, e certo che ci sentiamo goood sembra voler rispondere la platea fiorentina.

Il finale del concerto è affidato a “Gobbledigook” la traccia d’apertura del nuovo disco recentemente pubblicato che segna anche un nuovo punto di partenza per la band verso sonorità più solari e pezzi leggermente più pop senza che questo venga in alcun modo ad inficiare la musica. È proprio durante l’esecuzione di questo pezzo che il quartetto d’archi si trasforma in un poker di percussionisti che invita tutto il pubblico fiorentino a battere le mani sul ritmo “balzellante” della musica islandese mentre dall’alto piovono coriandoli argentati, piccoli fiocchi di neve che assieme al suono stranamente allegro della canzone chiudono il cerchio di questa esperienza islandese fatta di fuoco e di ghiaccio. È il momento dei bis e la platea fiorentina perde il suo aplomb scaraventandosi di colpo sotto il palco per trasformarsi in un’amalgama, forse meno educata e composta, ma sicuramente più viva e allegra, pronta a tributare il proprio sentito riconoscimento ai suoi beniamini. E di fronte a tanto amore anche gli algidi islandesi si lasciano finalmente andare salutando il pubblico tutti abbracciati assieme con tanto di (doppio) inchino teatrale. Concerto oltre le due ore, perfetta esecuzione tecnica, ottima resa sonora e bella location (anche se io da fiorentino pensando a Boboli penso ad altro…): nel complesso un bel sorso d’acqua fresca, ghiacciata in questa estate da discount. Certo, siamo ancora in mezzo al deserto, ma era proprio un bel sorso d’acqua…

Davide Agazzi

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