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Muddy Waters live at The Fillmore Auditorium, San Francisco, Ca Nov 4-6, 1966
(Chess/Universal)

74 minuti da uno dei periodi meno documentati di Muddy Waters, il 1966 appena reduce dal non amato Muddy,Brass & the Blues, viene oggi alla luce grazie a una registrazione presso il Fillmore Auditorium di San Francisco uscita dello sconfinato archivio di Bill Graham, patron del locale.
Waters, all’epoca già un mito, snobba il nuovo disco per concentrarsi, in tre sere nel mese di Novembre di quell‘anno, su quei classici destinati all’immortalità. Il cd, collezione del meglio di quei set, è corredato da un bel packaging tipo bootleg, e ha un valore storico per la presenza dello straordinario e sottovalutato George Harmonica Smith, un uomo che suona la storia della sua vita in ogni nota come una nave fa suonare la propria sirena nella nebbia. Completano la formazione Luther "Georgia Boy" Johnson e Sammy Lawhorn alle chitarre,Mac Arnold al basso e Francis Clay alla batteria. Qui si ha la sensazione di essere davanti a un documento sonoro straordinario: Un McKinley Morganfiel generoso, rilassato e sempre presente parla a un nuovo pubblico ( siamo a un anno dall’estate dell’amore ) e il concerto rispecchia il sapore dei circuiti neri che ancora vedevano primeggiare Waters prima del definitivo consacrazione presso i giovani bianchi. Questi sembrano essere felici di essere trasportati da Muddy nelle fumose atmosfere del Southside che Waters da lì a poco avrebbe salutato per sempre. Una nota importante è che il set è quello di una formazione senza piano, mentre l’abitudine nell’ascoltare l’artista nero ci riporta spesso a set della prima ora con Otis Spann aistro i tasti neri oppure, più avanti negli anni, con Pinetop Perkins. Questa è n ‘altra importante curiosità che fa la differenza fra questo ed altri dischi dal vivo di Muddy. Dei quindici brani vengono ripetute Hoochie Coochie Man e Forty Days and Forty Nights, quest’ultima particolarmente riuscita, mentre fa la sua bella figura Long Distance Call, quasi epica. Un vero set di Chicago blues al suo meglio.


Ernesto de Pascale

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