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Chuck Berry
My little ding a ling





È invadente e noioso. Non sta mai zitto e niente gli aggrada. Il suo fare dispotico lo ha reso antipatico a tutti. Quando lo incontrate pretende che voi sappiate tutto di lui, anzi, tutto quello che vuole fare sapere, vero o falso che sia. Nessuno lo vorrebbe lo vorrebbe per conoscente ma tutti esprimono il proprio rispetto quando si parla di Chuck Berry. Definito da Willie Dixon nella propria biografia "the first actual rock 'n'roller" e dal critico Adam Komorowski "un cantante nero di R 'n'B scambiato dai bianchi per un bianco", Berry anticipò quella fusione di bianco e nero ampliata ai massimi termini da Elvis Presley. La sua intuizione, un'intuizione dettata anzitutto dalla sopravvivenza, gli dette la forza, l'incoscienza e la determinazione di tirar fuori le penne dal più pazzo incrocio di country, pop, e rhythm 'n'blues mai pensato, al punto che il direttore della sua etichetta, Leonard Chess, dopo aver approvato il brano "Maybelline" per la messa in commercio, non lo riconobbe sentendolo per la prima volta alla radio.
La sua è una scommessona che durera più di una vita, visto che i suoi classici resteranno per tanto tempo ancora: "Schooldays", "No Particular Place To Go", "Rockin'in The U.S.A.", "Reelin'& Rockin", "You Never Can Tell", The Promised Land", "Rock in'Roll Music", "Wee Wee Hours", fino alle immarcescibili "Roll Over Beethoven" e "Johnny B. Goode". Una lista che potrebbe andare all'infinito, moltiplicando, canzone per canzone, il numero di interpreti, per scoprire che tutti, proprio tutti, hanno cantato e suonato Chuck Berry, e riflettere poi su una precisa considerazione: che se Elvis Presley non fosse mai esistito, forse per Chuck Berry non sarebbe cambiato molto.
Qualcuno obietterà che si tratta di una considerazione impegnativa, ma quando ci si trova dinanzi ad artisti che hanno fatto il Rock & Roll non ci si può tirare indietro. Sappiate che lui sarebbe, comunque, d'accordo con voi. Il suo più grande merito riteniamo sia stato quello di aver fatto poesia con temi poetici come la scuola, le macchine, la musica, le ragazze della gang e tutti quei topics che, presi a prestito dall'universo dei teen agers bianchi, espandevano a macchia d'olio - chissà se a sua insaputa - la fascia dell'incidenza culturale.
"Giudici e tribunali in "Thirty Days", problemi economici e commessi viaggiatori in "No Money Down", cultura ad livello ad alto livello in "Roll Over Beethoven", tutto questo e altro in "Too Much Monkey Business" erano motivi di protesta come ricorda Charlie Gillette in " The Sound Of The City" canzoni "blues" con testi "rock & roll". C'è da dire che il commento del giornalista britannico e azzeccato, esprime bene i pesi e le misure dello scrivere di Berry.
A dire il vero, non e facile sapere se Berry abbia mai compreso appieno quello che i giornalisti hanno scritto di lui; oggi, a settantotto anni, è ancora impegnato a capire come fare con le ragazze e a star dietro alle belle macchine, che vuole puntualmente guidare, negli spostamenti da una località alle successive pur non sapendo dove andare; poco importa, proprio come nella canzone "No Particular Place To Go".
Non è un errore affermare che Berry si sia sempre divertito molto; lo dimostrano le frequenti metafore che caratterizzano i suoi testi, e che danno da sempre un divertente sapore di sottinteso al suo fraseggio. Berry, oggi lo si può dire, non sarebbe stato lui senza quei testi. "La vita va avanti. Settantoot anni sono andati e mi sento ancora bene. Non ci sono parole per descrivere come io sia felice! La cosa che più voglio fare e andare in vacanza, tornare a casa e continuare a suonare perchè e parte della mia anatomia. La gente della mia età concede molto alla religione, ma per me non e cosi, anzi e viceversa Ero più religioso da giovane ma penso che non ci siano età per queste cose... Nella vita bisogna andare avanti felici". Questa dichiarazione di Berry non lascia segni di ombre o dubbi: alla sua età ha ancora le idee chiare. Lo stesso dicasi per come concepisce il suo odierno spettacolo. Dice: "lo arrivo in una sala e voglio trovare il gruppo che è già sul palco a suonare. Poi monto su io e facciamo lo show. Naturalmente, devono conoscere i miei brani, altrimenti come facciamo? Devono riconoscerli immediatamente, e anche in che tonalità li suono, cosi, al volo. Poi, se vogliono altri brani, mi faccio pagare un'altra volta. E cosi che devi fare, altrimenti la gente non ti considera!". Come avrete facilmente compreso, e una specie di legge del taglione... non ci sono mezze misure per Chuck. Arrivati a queste considerazioni, è anche giusto pensare che l'abbattimento di certe mezze misure rispecchi lo spirito originario del rock 'n'roll. Andiamo un poco piu a fondo nei testi: in "Sweet Sixteen" non c'e ritegno per il Berry appena trentenne, che non sopporta lo smacco di essere overshadowed da idoli piu giovani quali Paul Anka (e non e un caso che nella sua biografia citi un idolo bianco). In "Roll Over Beethoven" la figura del compositore bianco e usata come parafrasi di una giovanilistica voglia sfrenata di successo, legata al rock'n'roll, ma ancora persa nelle noiose ore passate ad ascoltare gli esercizi di piano delle sorelle Lucy e Thelma. Non è tutto: per Chuck Berry il rock'n'roll e urgenza, al punto di tramutare le parole in suoni; ecco allora trasformata una intro come "Early in the morning / I gave you a warning" in un ben piu criptico "Way lay in..." nella sopra citata "Roll Over Beethoven". ~
Nei suoi testi, insomma, Chuck continua la tradizione dei grandi te sti della musica nera: da "Stagger Lee" a "Crawling Kingsnake", da "Rollin'Stone" di Muddy Waters alle incursioni trasversali di "Midnite Mover", cantata da Wilson Pickett.
Contrastato per tanti anni da eventi della vita poco sereni, Berry non ha saputo dire no ai piaceri di questa. Piaceri che lo hanno portato due volte dietro le sbarre: la prima nel 1962, la seconda nel 1979. "Cosicchè – aggiunge Chuck in persona - la terza dovrebbe essere intorno al 1996!".E così fu ! Qualunque sia il problema, pare che per il chitarrista residente a St.Louis la parola problema sia stata bandita dal vocabolario. Infatti, nella sua biografia, il periodo dedicato ai giorni di galera pare un tranquillo periodo di vacanza fra due periodi di super attività, niente di più. E’ comunque certo che il periodo più creativo di Berry sia quello delle grandi composizioni citate in apertura di articolo; un periodo che, dietro un'apparente semplicità, nasconde complesse logiche discografiche. Ecco allora scoprire che alle spalle di Berry si era fatto avanti, senza mai lasciarlo un attimo, il famoso disc jockey Alan Freed, quello che da molti e ricordato come il primo abituale frequentatore del termine Rock 'n'Roll. Freed si era fatto bene i conti: in cambio dei passaggi chiedeva (attenzione: chiedeva, non pretendeva) solo la co firma della canzone, con conseguenti diritti d'autore, diritti che in America sono pagati su tutti i passaggi di qualsiasi stazione radio, non esistendo il Monopolio di Stato.
L'avventura che legò Freed a Berry trova, comunque, i presupposti nelle intenzioni originali di Chuck. Questo è ciò che scrive nella sua biografia a proposito del suo ingaggio al Club Cosmo di St. Louis: "Le canzoni blues che cantavo per il pubblico del locale mi costringevano ad usare il dialetto nero, quelle hillbilly mi impegnavano a usare una dizione più staccata per marcare lo stile bianco; era mia intenzione mantenere forte questa distinzione per tenermi buoni entrambi i tipi di frequentatori del locale. Il mio maestro era Nat King Cole per un genere, Muddy Waters per l'altro. Forse fu proprio perchè amavo tanto Muddy che cercai fortissimamente di mettermi in contatto con la sua etichetta, la Chess di Chicago, perchè mi piacevano i loro dischi". Leonard Chess vide giusto subito: il 21 Maggio 1955 Chuck Berry incideva le sue prime “facciate” per l'etichetta Chess, sotto l’occhio vigile ed attento del bassista arrangiatore Willie Dixon. "Maybelline", un originale precedentemente intitolato "Ida May" e definito dallo stesso Berry "a hillbilly selection". "Maybelline", firmata da Berry, Alan Freed e da tal Russ Fratto, fece il giro d'America. Berry non fece caso alla cofirma del brano, giustificandolo con il lavoro svolto per promuovere lo stesso. Freed, intanto, si era fatto bene i conti, come si suol dire; capi che la gente voleva vedere una revue di rock 'n'roll perche, in quel 1955, neanche Presley era apparso ancora su una rete televisiva nazionale. Gli artisti, ormai tanti e tutti disponibili, non aspettavano che qualcuno disposto ad offrire loro un certo tipo di esposizione, e naturalmente per il classico tozzo di pane; fu a questo punto che intervenne Freed. Grazie a questi nomi, il disc jockey si fece una pubblicità mostruosa, e, autopromuovendo gli avvenimenti come "The First Anniversary Of Rock'n' Roll", getto in pista tutti, molti nomi minori, e fra questi il primo piccolo grande nome: Chuck Berry.
Per Chuck fu un’apoteosi: dal Paramount di Brooklyn all'Apollo di Harlem, fino al Fox di Atlanta, poi ancora per altre quarantadue serate; lo spettacolo di Freed portò Berry alle stelle. Chuck, che non aveva ancora compreso bene la portata dell'affare di Freed, quel dirty business payola, avrebbe recuperato la canzone "Maybelline", e i due terzi dei diritti perduti, soltanto nel 1986.
Il 16 Aprile 1956 Chuck Berry rientra negli studi Chess di Chicago: è di ritorno da un lungo viaggio che lo ha visto trionfare a San Francisco. Il viaggio verso casa, verso St. Louis, è portato a termine in autobus; un lungo viaggio su quei pullman denominati greyhounds, e che lascerà un segno sulle future canzoni del nostro. In studio, di nuovo con Willie Dixon, butta giù almeno due grandi classici: "Roll Over Beethoven" e "Too Much Monkey Business"; poi incide anche "Brown Eyed Handsome Man", "Havana Moon" e "Drifting Heart".
"Rock & Roll Music" (1957) e "Sweet Little Sixteen" (1958) sono canzoni più complesse, dai ritmi vagamente latini. "Sweet Little Sixteen" offriva la classica tecnica di scrittura che vedeva una interminabile lista di città statunitensi citate: erano i luoghi dove la "dolce piccola sedicenne" si sarebbe voluta recare, pur di seguire gli artisti suoi idoli.Poi, arriva l'illuminazione: si intitola "Johnny B. Goode" e lui, Johnny, vuole come tanti adolescenti americani di provincia
lasciare il paese per recarsi nella grande città. E'gia il 1959 e Chuck non molla; il singolo successivo a " Johnny B. Goode " e una delle più controverse canzoni rock & roll di quegli anni. "Memphis, Tennessee" (con "Back in the U.S.A." sul retro) è un brano dal testo personale, su una base tesa e tagliente nel miglior "Chicago Style"; lei, di la dalla linea telefonica, ha solo sei anni. Chi sarà mai?
Sono anni di grande eccitazione per il mondo e Chuck Berry, con grande intuito, capisce le esigenze dei bianchi, al punto da comporre una canzone che apparentemente e solo un tributo alle teenagers d'America, (" Sweet Little Sixteen" per l'appunto), anche se fa ciò unicamente per conquistarsi i favori del programma televisivo per giovanissimi "American Bandstand". Berry, puntiglioso come sempre, riesce anche ad imparare il triste stile del playback televisivo. Qualsiasi cosa per lo spettacolo! E, sempre in nome dello spettacolo, Chuck si lancia nel mondo del cinema: dopo una fugace apparizione nel film "Rock, Rock, Rock", Berry ha una vera e propria parte recitata nel film "Go, Johnny, Go", la storia di un cantante, Johnny Mandel, patrocinato da un DJ, Alan Freed (e chi altrimenti?), per raggiungere il grande successo con il suo rock'n roll melodico.
Assetato di divertimento, di piacere, di ricerca, di soddisfazione, Chuck entra per la prima volta nelle patrie galere d'America nell'Ottobre 1962, per essere rilasciato dopo un anon. Quando ricompare, nel tardo 1963, e più in forma che mai. Ha capito che adesso gli imitatori potrebbero soffiargli il posto, si sono fatti sofisticati, intelligenti, non si limitano a eseguire le sue canzoni, ma studiano i gesti, gli atteggiamenti degli artisti di successo; poi, l'esplosione dei Beatles deve essere colta al volo, proprio mentre l'etichetta americana VeeJay chiude il contratto con i quattro di Liverpool. Il canadese Ronnie Hawkins, nel frattempo, con la sua "band", sta spopolando al nord, e a New York si parla già di lui: Berry non ama essere secondo a nessuno, mai!
Proprio in quell'anno, compone alcune delle canzoni piu significative della sua carriera, quelle più legate all'immortale concetto di libertà."No Particular Place To Go", "Nadine", "You Never Can Tell", "Promised Land" escono come una sorta di esorcismo, e saranno (canzone più, canzone meno) le sue ultime composizioni per il decennio in corso, decennio che lo vede continuamente ad esibirsi follemente ed in qualsiasi situazione, diventando, nel frattempo, uno degli idoli della scena psichedelica di San Francisco. Proprio li, sul palcoscenico del Fillmore, inciderà un raro album dal vivo, accompagnato da una giovanissima Steve Miller Band, appena giunta dal Texas. In Texas registrerà anche con il Sir Douglas Quintet e noterà la giovane Janis Joplin. Intanto, mai sazio, guiderà un giorno e una notte per poter registrare un gustoso album intitolato "In Memphis", con ottimi musicisti locali.
Con una registrazione abusiva di un concerto britannico del nostro, nel 1972, si chiude la sua carriera compositiva, anche se resteranno fuori una manciata di canzoni sparse qua e la, incise durante gli anni '70 nel bel mezzo del suo nuovo contratto Chess, ed un bel disco intitolato "The London Chuck Berry Session", inciso in quattro ore.
Chi ha avuto modo di vedere il film "Hail, Hail Rock'n'Roll", girato per il suo sessantacinquesimo compleanno, con una band irresistibile diretta da un paziente Keith Richards, avrà sicuramente compreso il significato di questo." Maybe someday your name will be in lights" aveva affermato un giorno Chuck in una delle sue canzoni, riferendosi al successo che tutti cercano, anche se molti non hanno mai superato la fase del "maybe", del forse.
Per Berry resta solo Rock & Roll, anche per quelli che non hanno mai visto brillare il proprio nome sui cartelloni pubblicitari di Hollywood.
Vale la pena credergli.

Ernesto de Pascale



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