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Ellis Hooks
The Hand of God

Zane


Ellis Hooks è l’asso nella manica di una piccola e rampante etichetta britannica, la Zane records. Lui è un tipo tosto: un mezzo indiano con la voce che ricorda fra Sam Cooke e Paul Rodgers dei Free e sul palcoscenico “ spacca” . In Italia lo si è visto una sola volta, allo Sweet Soul Music Festival di Porretta edizione 2003 dove riscosse un meritato successo sull’onda di un disco d’esordio bello e ben fatto, realizzato con molti collaboratori differenti.
Per questo secondo album, “The Hand of God “ la Zane deve aver investito diversi soldi e il produttore Jon Tiven ha chiamato a raccolta alcuni assi come i batteristi Anton Fig e Omar Hakim e qualche musicista della band di Hooks e in 17 brani originali, dividendo fra se e il parente Sally Tiven gli obblighi chitarristici, bassistici e di arrangiamento, ha dato alle stampe un disco più completo del precedente. “The Hand of God “ ha i suoi punti di forza in “Forty Days and Forty Nights”, nel brano che da il titolo all’album, nel bel mezzo tempo di “The Idea of You “, nella claptoniana “Slide Me Gun “ scritta con Shemekla Copland e John Han, nella ballata semiacustica “It’s not me “ e nel showstopper di “That’s what i need” che pare scritto per essere eseguito dal vivo. Brani di punta, questi, di un album forse appena troppo lungo che senza dire niente di nuovo farà la gioia di coloro i quali amano la vera Soul Music e che dopo i dischi di Solomon Burke e il ritorno di Al Green avranno di che esultare.
Jon Tiven, senza disdegnare un sound moderno ma rispettoso e naturale, fa girare tutto intorno alla voce di Ellis e affida le miscelazioni al vecchio Dan Penn che ha le orecchie giuste per assemblare un successo e ha voluto mettere un piedino in questa produzione. A Ellis Hooks basterà a questo punto un buon manager per farsi notare; ha le carte in regole e due buoni dischi all’attivo. Adesso il lavoro sporco spetta a qualche altro.

Ernesto de Pascale



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