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Gary Jules
Trading Snakecoil for wolftickets

Sanctuary/Edel

 


Fra tutti i revival quello del Folk è il più onesto. Impossibile mentire: tutto gira intorno alle canzoni e a strumentazioni minime e se le canzoni non sono belle il castello di carte se ne va all’aria. Questo significa che ci voglio, quindi, grandi canzoni altrimenti niente da fare. Gary Jules, giunto al successo con un brano nel film “Donnie Darko” per non sbagliarsi ha deciso di ricalcare così alcuni dei momenti più lontani, quasi dimenticati della prima onda folk. Quella scuola, prevalentemente nata e cresciuta sulla costa est che aveva i suoi punti di forza in artisti come Simon & Garfunkel, Tom Rush, Steve Noonan, Terence Boylan, Jackson Browne, Dino Valente prima che alcuni di essi spiccassero il volo verso Ovest. Jules, il cui primo album del 1998, “greetings from the Side“ riappare oggi sul mercato, è losangelino d’adozione e ci mette molto ella smothness & coolness locale che comunque fa sempre tendenza per piazzarsi come un Chuk E. Weiss (l’amico di Rickie Lee Jones e Tom Waits che ogni venti anni si ricorda di fare un disco) dei nostri giorni. Le storie sono certamente men educate di quelli dei cantautori che crebbero intorno al Club 47 di Boston a al Gaslight o al Bitter End di NYC e il produttore Michael Andrews si sente che non è un improvvisato (produceva anche il primo disco di Jules). Gary, che non è più un ragazzo, dà l’impressione di non voler perdere il vento in poppa (è più di venti anni che rema contro...) e scrive con grande attenzione che tutto sia al posto giusto per solidificare quel senso di deja vù per il target adulto e per fare bella figura con i cantautori più giovani ai quali manca il suo mestiere. La rivista Rolling Stone decreta “delicately crafted music of the highest orde “ ed è diffcile dar loro torto. Certo che riappaiono in ordine “shadow dream song”, “buy for me the rain“ “jamaica, say you will“ e altre mille canzoni di una volta. Ma a voi, questi titoli, dicono forse qualcosa?

Ernesto de Pascale



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