.


People and places

Intervista ad Antonello Fassari


Antonello Fassari è un attore ma, come ci dirà lui stesso, contemporaneamente non lo è. Ha solo di recente comprato un’autoradio e ha scoperto la musica in macchina, è stato probabilmente il primo rapper italiano ed è una persona a cui piace provare a fare una infinità di cose diverse anche nella professione. Prova ne sia il suo percorso artistico di cui, fra altre cose, abbiamo parlato in un tiepido pomeriggio di metà aprile (e vi assicuro è stato un miracolo, non tanto perché il Nostro sia difficile da trovare ma perché era bel tempo).
D. Caro Antonello, c’è il sole, abbiamo fatto le foto, ci siamo detti come stiamo. Adesso vogliamo parlare un po’ di te? Anzi, parliamo di come ascolti la radio.
R. Attentamente a volte, comunque in macchina come tutti. Ora posso proprio dirlo perché ho comprato un’autoradio modernissima, almeno per me, e con questa posso suddividere le radio per genere. Mi è sembrato di essermi calato nella modernità anche se resto un po’ deluso. Dopo aver cercato per mille stazioni ho provato a fare come sul telecomando della televisione mettendo prima Radio 1, 2 e 3 e ho scoperto che arrivato al tasto 4 puoi scegliere a differenza della tele dove sei ingabbiato fino al tasto 8. Comunque subito dopo la Rai ho sintonizzato Radio Città Futura (Storica emittente della capitale che trasmette in locale sui 97.700 Mhz e in nazionale sul circuito Popolare Network. N.D.R.) e altre su quel genere. Ascolto poco le reti nazionali.
D. Come mai?
R. Guarda, la stessa domanda me la hanno fatta ieri sera…
D. Allora è una domanda ovvia…
R. Assolutamente no. Stavo guardando la televisione e mi chiama un collega convinto che stessi guardando un importante sceneggiato sul primo canale. Io invece stavo saltando qui e là sui canali satellitari piu’ curiosi. Ecco, preferisco un media che mi proponga cose che mi spiazzino, mi facciano incuriosire e quindi anche in radio cerco di scoprire qualcosa di piu’ che abbia una programmazione interessante ed una presentazione critica.
D. Ma la radio entra anche nel tuo lavoro attuale in teatro…
R. Si. Dal 17 maggio all’Ambra Jovinelli di Roma faccio uno spettacolo che si chiama “I Quattro Moschettieri” di Nizza, Morbelli, Vaime, Fano. I primi due sono stati gli autori di una trasmissione radiofonica che negli anni ’30 ebbe un successo incredibile. Una delle tante particolarità che resero quel programma così popolare fu che era legato, primo in Europa sicuramente, a quella che per quei tempi era una inedita forma di sponsorizzazione da parte di una nota casa dolciaria ( La Perugina N.D.R.) che possedeva una grande rete di punti vendita in ogni città. Avevano abbinato alla trasmissione una raccolta di figurine che rappresentavano vari personaggi tra cui il Feroce Saladino rimasto famoso perché era la figurina piu’ rara da trovare. Chi completava l’album vinceva addirittura una Fiat Topolino.
D. E nello spettacolo cosa succede, come sono i personaggi?
R. Noi simuliamo di trovarci in uno studio dell’ EIAR mentre realizziamo il programma. Ovviamente essendo alla radio gli attori non hanno il phisique du role del personaggio che interpretano, quindi Arlecchino viene impersonato da una donna grassa, Athos e Porthos sono vecchissimi e D’Artagnan è un ubriacone. Questo spettacolo è come un libro o la radio, nel senso che lascia spazio alla fantasia come quando smetti per un momento di leggere o di ascoltare per perderti nei tuoi pensieri e solo dopo un po’ riprendi il filo della narrazione. Quasi ci si dimentica di essere in uno studio dell’Eiar e cominciano le avventure. Anche perché Nizza e Morbelli facevano incontrare i moschettieri addirittura con Tarzan…
D. E certo! C’era il concorso delle figurine…Ma nello spettacolo si parla anche dei nostri tempi?
R. Essendo uno spettacolo ambientato negli anni ’30 con l’Italia che si trovava in una certa situazione, che vuoi, viene da sé.
D. Che rapporto c’è, se c’è, tra il teatro e la radio?
R. Il teatro ha un ottimo rapporto con la radio, sono entrambi parola. Citare la televisione in teatro è sempre poco interessante. Ricordo che Luca Ronconi qualche anno fa mise due televisori in scena ma tutto questo serviva a descrivere una situazione, legata al mondo della televisione, squallida e poco coinvolgente.
D. Un po’ come spararsi su un piede… Da Ronconi al Rap, da De Filippo agli spettacoli televisivi del sabato sera, il cinema con registi “impegnati” ma anche con i fratelli Vanzina e poi Avanzi su Rai 3 sono alcune tappe del tuo lavoro. Il teatro serio che ti fa le spalle forti ed il suo opposto, la televisione. Nel 2005 sembra un discorso normale ma negli anni ’80 quando lo hai fatto tu era molto più difficile. Devi esserti fatto qualche nemico.
R. Io alla fine ho capito che è una questione caratteriale. Sono uno che se non fa le cose non le possiede, fosse anche in minima parte. Non posso teorizzare il mio lavoro e forse è un limite come lo è quello di incarnarsi totalmente in un progetto prevedendone ogni sfaccettatura.
Faccio tutte queste cose così diverse perché continuo a non sentirmi attore e ho sempre pensato che per fare il mestiere debba conoscere ruoli diversi, situazioni diverse. Tutte le strade che mi incuriosivano le ho fino ad ora percorse perché è anche più interessante lavorare in una dimensione in cui tutto cambia. Da attore puoi anche diventare uomo di spettacolo e fare le due cose contemporaneamente.
D. Però alla fine sei tornato al teatro.
R. Nel 2000 sono tornato al Piccolo di Milano con “I gemelli veneziani” di Ronconi, poi ho fatto “Chiacchiere e sangue. Fatti della Banda della Magliana” scritto con Daniele Costantini e adesso “La Ricotta” di Pasolini che è la sceneggiatura dell’episodio del film “Rogopag” (Acronimo dei nomi dei registi dei quattro episodi di cui la pellicola è composta, Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti n.d.r.). Debbo dire comunque che nel teatro trovo più identità mentre in televisione è più difficile, sono troppe le pressioni dall’esterno, ma riesco a farcela anche se di norma le persone che amo e stimo non sono presenti. La televisione è diventata un Festival di San Remo continuo dove tutti quelli veri… nun ce stanno! Allora, tornando alla radio, ecco perché non ascolto i network. Non offrono la totalità del panorama ma solo una parte.


D. Ora parliamo di te come cantante. All’inizio degli anni ’80 sei stato probabilmente il primo rapper italiano (a parte Rino Gaetano ma è un’altra storia) incidendo una canzone che si intitolava “Roma di notte”. Come hai scoperto il Rap?
R. Grazie ad un ottimo regista che si chiamava Massimo Costa (scomparso lo scorso anno, quattro film al suo attivo e grande appassionato di musica oltre che, negli anni ’80 organizzatore di concerti e concorsi aperti a gruppi rock. n.d.r.) che una sera mi disse „Fassari, devi fare il rap!“. Era appena uscito “Rapper’s delight” della Sugarhill Gang, io non sapevo nemmeno di cosa stesse parlando sino a che non mi ha portato a casa di Roberto D’Agostino che me lo ha fatto ascoltare. Sono stato letteralmente F O L G O R A T O ! Un po’ come quando ascoltai per la prima volta i Beatles o gli Stones. Ho cominciato a sillabare il testo scontrandomi con le difficoltà metriche dell’italiano e con i problemi derivanti dal fatto che la nostra lingua necessita di più parole per esprimere un concetto. Alla fine ho scritto il testo e, dopo aver provato diversi musicisti, ho incontrato grazie ad un altro regista, Valerio Zecca, Lele Marchitelli che costruì una base sul mio testo insieme a Danilo Rea e Pasquale Minieri. Registrammo con un otto piste che a me sembrava una macchina stellare. La canzone piacque ma non fu mai più di una hit romana.
D. Altri tempi, ora sarebbe diverso. Poi arriviamo ad Avanzi. Non era soltanto comicità…
R. Penso che come in altre trasmissioni di successo i caratteri comici siano paradossali ma prendano sempre spunto dalla realtà e questo ci porta inevitabilmente alla satira, anche politica.
Quello che noto adesso è che in questo senso ci troviamo nel vuoto più totale e quindi quando qualche persona intelligente come Fiorello o Bonolis arrivano a fare come dicono loro hanno grande successo. Però vorrei qualcosa in più…
Anche noi, anche noi…


Alessandro Mannozzi


tutte le recensioni

Home - Il Popolo del Blues

NEWSLETTER

.
.

eXTReMe Tracker