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Glen Phillips - Winter Pays For Summer
(Lost Highway)
www.glenphillips.com



Produced by John Fields, Winter Pays For Summer, the last Glen Phillips’ album, is a good occasion to meet his versatile songwriting that you can found on songs like roots-rook of “Duck and Cover" or on rock ballad like “True". The best songs on this cd are the Randy Newman-inspired "Don’t Need Anything" and "Thankful" which recalls some old Toad The Wet Spocket’s stuff.

Un tempo leader indiscusso dei Toad The Wet Spocket, band di buon successo con quattro milioni di dischi venduti nel mondo, Glen Phillips, dopo un periodo in cui si erano perse le sue tracce a fine anni 90, arriva con Winter Pays For Summer, edito dalla Lost Highway, al suo terzo album solista, che segue il debutto del 2001 e Live At Largo del 2003. Glen è senza dubbio dotato di un songwriting raffinato, che a dispetto delle sue origini californiane, si ispira tanto ai Waterboys quanto ai Replacements e agli XTC, tuttavia è innegabile che nel suo DNA musicale ci sia anche il sound americano e non è un caso che in questo disco si incontri spesso. Prodotto da John Fields (Andrei W.K. e The Honeydogs), Winter Pays For Summer, vede la partecipazione di una vera e propria all-star studio band con nomi del calibro di Peter Thomas (già negli Attraction di Elvis Costello) alla batteria, e dei chitarristi Jon Brion (Fiona Apple e Aimee Man), Michael Chavez (John Mayer) e Greg Suran (Goo Goo Dools). L’ascolto del disco è molto gradevole essendo i brani sospesi tra un sound roots-rock radicale e il maistream di matrice inglese, e tutto ciò non può che essere un bene dato che il disco appare molto immediato nelle linee melodiche. Molto buono ci sembra anche l’approccio vocale di Glen che appare sin da subito molto versatile tanto nei brani più rock come Duck And Cover, tanto nelle ballad come True, quest’ultima molto vicina ai temi di Dave Matthews. La palma di miglior brano del disco va però a Don’t Need Anything, affine alla lezione di Randy Newman di cui ne recupera l’approccio vocale e lirico e a Thankful, che ha qualcosa di indefinitamente derivativo ma che tuttavia gira al massimo grazie ad un riff mozzafiato. Aspettiamo un ulteriore passo in avanti per poter giudicare a pieno Glen Phillips, tuttavia gli va dato merito di aver assimilato bene oltre alla lezione inglese, anche quella di Jackson Brown e di James Taylor, a cui velatamente fanno riferimenti alcuni brani di questo disco.

Salvatore Esposito

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