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ANTEPRIMA
Robert Plant - Mighty Rearrenger
(Sanctuary / BMG Rircodi)
www.robertplant.com
9th solo album by ex Led Zeppelin’s golden boy. Excellent!!!
Robert Plant è un uomo coraggioso: ha reagito alla morte di un figlio, del suo miglior amico, a un passato pesante come un macigno e continua a guardare la vita a testa alta a 56 anni, rimettendosi più che può in discussione. Lo fa adesso con un nuovo album solista, il migliore dai tempi di “Now & Zen“ del 1988 e dell’ancora ottimo ”Manic Nirvana“ del 1990. Le radici di questo disco il cui tema dominate è l’ineluttabilità del destino (“the mighty rearrenger”, per l’appunto), sono da ricercare in quel interessante di disco di cover del 2002, “Dreamland“, album che permise a Plant, portato in tour, di testare la solidità di un nuovo progetto e l’affidabilità della band che l’ex Zeppelin aveva con se. Le session di “Mighty Rearrenger“ si sono protratte a lungo, per oltre due anni e il risultato trasmette un senso d’ unità e di concentrazione molto forte. Per due anni Plant e soci, fra cui spicca il batterista ex Portishead Clive Dreamer, hanno lavorato sui groove, sulla validità di un prodotto che doveva rappresentare una icona del rock come il testo di “Tin Pan Valley“, uno dei brani migliori del disco, ben spiega (il testo è incluso nel libretto allegato).
Proprio dalla citata “Tin Pan Valley“ parte il cuore del disco che si snoda per “all the king horses”, brano caratterizzato da una decisa apertura elettrica armonica. La critica inglese ha osannato questo disco del cantante britannico, lo ha paragonato a “Physical Graffiti”, il doppio album di Page, Plant, Jones e Bonham in cui i quattro si lanciarono con successo in arditi campi di ricerca. Erano altri tempi e “Mighty rearrenger” questo lo mette in chiaro sin dai campionamenti usati, dai groove atmosferici che legano con un filo rosso l’iniziale “Another Tribe“ (titolo di lavorazione del disco) alla bella “The enchanter“, very zeppelinesque, brano caratterizzato da un ricercato assolo di chitarra elettrica mista a effetti, che non cela citazioni del vecchio Jimmy.
Plant non fa mistero del suo passato e l’album va avanti così, potente e misterioso, attraverso la radiofonica “Takamba“. Niente di “Mighty rearrenger” sa però di pedissequa copia nè tantomeno di riproposizione amorfa di un passato che non potrà mai tornare e in “dancing in heaven“ un lieve tono beat molto sixties ci fa i ricordare i primi amori di Robert: Moby Grape, Byrds, 13th Floor elevator, Love mentre in “Somebody Knocking“ riaffiora il suono etnico e orientale, marchio di fabbrica dei Keleidoscope di David Linldley e Simon Feldthouse, la band americana che Page definì “il miglior gruppo degli anni sessanta”.
Finale affidato al brano che dà il titolo all’album, shuffle oscuro caratterizzato dall’armonica di Plant e conclusione con un piccolo dolce tributo a Ray Charles (“Brother Ray“) con campionamenti, voce di Robert e piano elettrico vecchio stile. Pare tutto finito ma dopo pochi secondi di silenzio un lungo groove trip hop dai toni trance riparte e sposta il peso di un disco importante verso territori sconosciuti.
Su tutto svetta sempre l’autorevolezza vocale di Robert Plant che anche in questo ha trovato una nuova chiave: niente più svirgolature, melismi, flessioni verbali e vocali ma un vigore e un’ introspezione vocale sempre improntata su timbriche e toni importanti. Un gran ritorno insomma e la condivisione del recensore con le parole di James McNair su Mojo 138 ( 5/05) che termina la sua analis del cd con un detto che dovrebbe restare nel cuore di molti giovani artisti: “se rimani fedele alla tua musa, lei non ti tradirà”. Prendete esempio da Robert Plant!
Ernesto de Pascale
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