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Charlemagne Palestine

Charlemagne Palestine
Roma, Istituzione Universitaria dei Concerti
14 marzo 2006-04-28

Si può fare un concerto su una nota sola? Si, se a farlo è un artista, un poeta della tastiera come Charlemagne Palestine. Forse non è neppure un concerto, è semplicemente un incontro, una meditazione collettiva, un gioco. Nessun formalismo, lui si presenta con un camicione indiano e un gilet spiegazzato, il cappello a falde larghe. Sotto al pianoforte gli immancabili pupazzetti di peluche, un orsacchiotto sul leggio. Pochissima luce, solo un faretto che lo illumina fiocamente da dietro le spalle. Comincia con una nota sola, in pianissimo, sul registro medio. Schiacia il tasto e muove lentamente il braccio e, incredibile, il suono vibra. Secondo le leggi fisiche non sarebbe possibile: sul pianoforte non puoi fare il vibrato come su una chitarra o su un violino, e neanche, con la forza di un dito puoi far vibrare uno strumento che pesa svariati quintali. Eppure, garantisco, il suono vibra. Forse col vibrare del suo corpo Charlemagne Palestine vuole farci percepire le mille sfumature, i leggeri battimenti, forse è così, ma l’illusione è perfetta. Lentamente, come uno sciamano, comincia a inanellare intorno alla nota di partenza un’intervallo di quinta. E poi si va avanti così, per slittamenti e sovrapposizioni impercettibili, mentre l’aria si riempie di armonici. Così quando la musica arriva al culmine e ti investono fasce di suono tintinnanti e rimbalzanti come quelle di mille santur persiani, quando tutta la sala vibra di tremoli iridescenti, quasi non ti sei accorto della transizione, del crescendo e, soprattutto, non hai avvertito il trascorrere del tempo. Da quanto sta suonando, da dieci minuti? Da mezz’ora? Da un’eternità? Da un attimo? Non so definire bene lo “strumming” di Charlemagne Palestine. Forse è una sorta di tremolo continuo e legato (ma può essere legato un temolo?), insomma, non so spiegarlo, certo è che lui ha una resistenza incredibile, ma non mostra il minimo sforzo, sta lì sognante, col corpo che dondola leggermente, come un’incantatore di serpenti.

Il lungo brano, diviso in due sezioni, si intitola Bolide Borgato ed è dedicato a questo particolare modello di pianoforte. Si tratta di un piano a coda, ma con i cori delle corde medio acute quadrupli invece che tripli, e quindi con una risonanza e un volume spettacolari. Inoltre, sotto allo strumento c’è, sdraiato in terra, un altro pianoforte azionato da una pedaliera simile a quella di un organo. Il costruttore Borgato ha realizzato lo strumento ispirandosi ai clavicordi con pedaliera del Settecento e al Pedalflügel dei tempi di Schumann. Quando, a metà concerto, Charlemagne Palestine comincia ad usare anche la pedaliera, sembra veramente che la sala non riesca a contenere la massa sonora, senti suoni lunghi e vellutati, come di violoncelli e contrabbassi. E allora comprendi il segreto di questa musica, una musica che fai tu con la tua mente: sei tu a seguire una tua traccia nell’oceano infinito delle onde sonore, sei tu a selezionare gli armonici che più ti fanno vibrare. E’ come se ascoltassi contemporaneamente tutti i suoni del mondo, tutte le musiche possibili. Sei tu a improvvisare, Charlemagne Palestine è soltanto un sacerdote, o meglio, un folletto, di un rito antico e primordiale.
Che musica è? Gli amanti delle etichette inutili parleranno di minimalismo. Ma che vuol dire minimalismo? Oggi mi sembra che sia solo una scorciatoia verso la banalità, la noia, il buonismo New Age. Quando ero giovane si chiamava musica ripetitiva. Ricordo con emozione i concerti romani di Terry Riley e La Monte Young nel 1974 e ho gridato di rabbia quando, due anni fa, ho visto “A Rainbow In Curved Air” inserito in una collana di musica “Ambient”. Ambient? Ma vogliamo scherzare? La ricerca di Riley accostata a quella melassa insulsa, a quel misto di “Concerto di Colonia” e “Lezioni di Piano” mal masticati e mal digeriti che va tanto di moda oggi?
Eravamo in molti al concerto di Charlemagne Palestine a pensarla così, ci sentivamo parte di una comunità che ancora, faticosamente ma con determinazione, va in cerca della semplicità, del rigore, della bellezza.

Stefano Pogelli

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