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Marah
Marah Tunnel Reggio Emilia
Sabato 29 aprile 2006
America’s new rocking storyteller.
I Marah scelgono il neonato Tunnel di Reggio Emilia per la prima data del loro primo mini tour italiano di 5 date. E fanno bene, non solo perché avranno a disposizione un impianto che darà volume alla loro straripante energia, ma anche per il pubblico, non numeroso ma caldissimo che si è dato appuntamento al locale.
La band di Philadelphia parte soft sulle note della colonna sonora del film ‘Rocky’ per poi non mollare la presa per la successiva ora e mezza; ogni pezzo è suonato come se fosse l’ultimo della scaletta, con tutta l’energia, il cuore, la passione e la precisione di una band che è on the road da ormai 6 mesi. Si muovono sicuri sul palco David, Serge, Kirk, Adam e Dave, con la consapevolezza di essere rocker ma senza nessun autocompiacimento. David Bielanko non lesina sudore, ma tiene con orgoglio il suo cappellino di lana in testa per tutto il concerto mentre Serge, il fratello, si diverte ad inserire battute e lazzi all’interno delle canzoni facendo più volte ridere gli altri della band. ‘Dovremmo fare una jam a questo punto’ , dice David al resto della band, ma gli altri non sono d’accordo e preferiscono attaccare ‘The Hustler’ dal loro quinto ed ultimo album, ‘If You Didn’t Laugh, You’d Cry’. La band sa di avere un bel disco da far conoscere: “il nostro ultimo CD è da 5 stelle, un vero capolavoro”, così lo presenta David al pubblico, con la sfrontatezza e l’immodestia del rocker vero. Come non dargli torto dopo aver sentito le versioni di ‘Sooner Or Later’, ‘Closer’ o ‘Walt Whitman Bridge’ con il loro susseguirsi di riff e ritornelli ed armonica che sanno di Faces e Dylan.
La band non si dà tregua e macina canzoni su canzoni: è come se i cinque musicisti non riuscissero a frenarsi, come se fossero la musica e gli strumenti stessi a guidare le loro dita, le mani e le loro voci. Saliranno sul palco per ben tre volte, richiamati a gran voce dal pubblico, i volti stanchi ed i capelli sudati, ma pronti a ripartire a tutto volume e senza risparmiare le forze, come se non ci fossero alternative.
La musica dei Marah dal vivo acquista un’inaspettata dimensione epica, che rimanda ai primi album del “Boss”, nella quale la musica e le storie che vengono raccontate si fondono e diventano veri e propri frammenti di vita metropolitana, schegge di realtà tanto cruda quanto banale, un modo di narrare questo che si ricollega alla tradizione dei grandi storyteller americani. La band riesce a camminare con sicurezza sul confine labile che divide la freschezza e la sincerità dal già sentito e detto. I Marah sono veri, nel bene e nel male. L’America ha trovato i suoi nuovi menestrelli; loro lo sanno e ne sono fieri.
Jacopo Meille
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