Jim Morrison, John Cale, Serge Gainsbourg & Morrisey at the Opera = Adam Green
La qualità migliore del newyorchese Adam Green, giunto con “Jacket full of Danger” al suo quarto album solista dopo due dischi con The Moldy Peaches, è la pasta vocale che conferisce al suo timbro baritonale - un misto di Jim Morrison, John Cale, Serge Gainsbourg e Morrisey un particolare gusto. Il sapore di qualcosa di già ascoltato assale l’ascoltatore perché Adam Green è bravissimo a scrivere piccole canzoni, quasi “operine” , che traggono spunto dal musical, piuttosto che da un pop leggiadramente sinfonico che fa tanto Scott Walker.
Se lo osservate bene sulla copertina di questo “Jacket full of Danger” non gli dareste una lira, invece il disco scorre via, canzone dopo canzone, al fianco di Adam c’è la stessa formazione del precedente album, con un senso di innata eticità che poi corrisponde a come si mettono gli accordi e quali in una canzone che lo rende subito importante grazie a quella voce.
Volete sapere quale sia l’andamento medio dell’album? Ecco cosa accade : mentre uno come Jim Morrison cantava “break on through/on the other side “ negli anni sessanta, Adam Green canta ripetendo per un intero ritornello il nome di Nat King Cole. Tirata le somme.
Green è un nome da accostare a quello della russa, cittadina oggi di Brooklyn, Regina Spektor. I due condividono lo stesso gusto un po’ camp, l’eccesso in miniatura,, ma, all’ascoltaore attento sarà subito chiaro che Adam punta a Broadway. Eccolo citare il musical “Showboat” in “Animal dreams” e poi nella successiva “Cast a shadow” fare il verso a Morrisey dei primi album solo. Nella follia generale di un accostamento così inatteso di canzoni come “Drugs”, un inno alle droghe, non per forza chimiche ma anche al tabagismo, e all’idea di esse, in cui Adam Green si presenta come un nuovo Serge Gainsbourg, mentre “White Women” è proprio una riproposizione del Morrison più weiliano, tutte vignette di un unico grande spettacolo.
Di “Jacket full of Ranger” di Adam Green è importante sottolineare come tutto abbia una logica ferrea dal punto di vista della scrittura.
Non c’è un brano che superi i tre minuti, non c’è canzone che non abbia un preciso inizio e fine e gli svolgimenti sono sempre approfonditi.
Un piccolo genio all’opera nell’asfittico mondo della canzone?
Ci vuole un grande disco perché Adama Green possa farsi definite tale, uno “Smile”, tanto per buttare lì un nome, perché, a conti fatti “Jacket full of Danger” ripercorre le strade del precedente, evidenziandone i pregi e rendendo Green un serio contendente alla poltrona pop ora occupata da Ben Folds.
Ernesto de Pascale
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