Prima pubblicazione per la sua neonata etichetta, “Room of songs” è l’ennesima testimonianza della poliedricità e del valore del progetto di Alejandro Escovedo.
Partito con le chitarre e i riffs degli Stooges, Escovedo ha compiuto un percorso di evoluzione che lo ha portato, nei suoi dischi solisti, a sposare la poetica esistenziale di Townes Van Zandt con gli archi degli amati Velvet Underground.
E, dopo un passato con ottime band punk/rock quali Rank & File e True Believers, il songwriter texano ha piazzato nell’ultimo decennio un capolavoro dietro l’altro (“Gravity” e “A man under influence” su tutti), trovando anche il tempo di collaborare ad una pièce teatrale sugli emigranti messicani negli States, “By the hand of the father”.
“Room of songs” è il documento integrale di una performance tenuta al celebre Cactus Cafè di Austin nel 2005, durante la quale Escovedo si presenta in una delle sue innumerevoli formazioni musicali, quello dello “String quintet”: due chitarre acustiche accompagnarte da un trio d’ archi.
Il risultato è strepitoso, la sintesi è un vero e proprio folk “da camera” che si dipana tra alcune delle più belle pagine del songbook del texano (“Way it goes”, “By eleven”) ed una sorprendente cover dei Gun Club (!) del fu Jeffrey Lee Pierce (“Sex beat”).
In attesa del nuovo album in studio, atteso per Maggio (“Boxing mirror”, prodotto da John Cale), Escovedo lascia l’ennesima, importante, traccia in quello che è il cammino di uno dei songwirters più originali e completi che la fertile scena di Austin ci abbia mai donato.
Massimiliano Larocca
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