Phil eat your heart out.! You can’t put your arms around a memory
“The Last of The Rock Star” è un titolo che si addice perfettamente al nuovo disco di Veronica Spector, in arte Ronnie, sessantaduenne cantante, native newyorker, il cui nome resterà per sempre legato a quello del suo primo marito, il produttore numero uno della seconda generazione del Rock & Roll, Phil Spector.
L’imprevedibile svengali inventore del Wall of Sound trasformò la “piccola indifesa ragazza con gli occhi sul grande mondo “(parole di Phil) in “donna sexy, affamata, trash” (parole di Madonna) nel giro di due minuti e trenta secondi, quanti ne durava il primo singolo che il produttore scrisse e produsse per Ronnie e le sorella, The Ronettes, “Be My Baby “, scalzando con questo il dominio delle The Crystals dalle Top Ten per teen agers.
Che anni quegli anni per la musica ! Si scoprivano eccessi e si prendeva la misura per la conquista di una supremazia, per interpretare il proprio ruolo da Rock Star che sarebbe potuto durare tutta la vita. Per Ronie il bel sogno, il matrimonio con Phil, si trasformò in breve in un incubo psicotico e terribile, reclusa nella villa di 23 stanze di Beverly Hills, sorvegliata a vista, vittima della paranoia del marito, lei che aveva accolto, prima New York City, gli spauriti Rolling stones, lei che aveva aperto le tournee dei The Beatles. Il sogno era finiti, troppo presto.
Quando nel 1970 complice gli impegni di Phil Spector con John Lennon per la produzione di “Istant Karma “- Ronnie riuscì a sottrarsi dal sequestro non avrebbe potuto immaginare che la conclusione legale della sua avventura avrebbe impiegato altri 23 anni per trovare un giusto buon fine. Due milioni e mezzo di dollari a lei spettanti venero risucchiati in un attimo dai costi di corte, il primo assegno di sostentamento per Ronnie venne inviato da Phil in centesimi in nickel.
Eppur,e come recita una delle più belle canzoni di “The Last of The Rock Star”, “non si può imbrigliare un ricordo” (You can’t put your arms around a memory” scritta dal compianto Johnny Thunders ) e la minuta Ronnie, ex venere tascabile, ha imparato a convivere con un passato da cui molti amici hanno tentato di risollevarla: Bruce Springsteen a la E Street band che la accompagnarono in un bellissimo pezzo scritto per lei da Billy Joel nel 1978, “Say Goodbye to Hollywood”, Johnny Thuinders stesso, Joey Ramone che nel 1999, pur già malato, le produsse “ She Talks to Rainbows “ e poi ancora David Bowie, The Bangles, Alex Chilton e prima Jimi Hendrix, Eddie Money.
La voce di Ronnie Spector è la seconda era del Rock & Roll, la generazione della purezza persa si pensi che Phil spector accettò di produrre “End of the Century” dei The Ramones solo per sentir cantare Joey, secondo lui, il timbro vocale più simile quello di Ronnie, che infatti canta “Baby, i love you “ la voce perfettamente intonata e dotata di quel inconfondibile tremolo che ha fato venire i brividi a milioni di ragazzi. Impossibile farne senza.
“The Last of the Rock star “ è un disco che non si discosta guai il contrario dal suo genere prediletto, un moderno The wall of Sound dove, se funzionano le canzoni, funziona tutto il resto. Ci pensa Keith Richards nella straordinaria e radiofonica “ All I Want “ di Amy Rigby a darle la spinta per un passaggio nelle playlist delle stazioni rock di tutto il mondo. Arrivano poi in aiuto Patti Smith, che non ha mai fato mistero di voler essere da grande una nuova Ronnie Spector ( !?!), The Raveonettes dalla Scandinavia, membri di Yaeah Yeah Yeah che contribuiscono a rendere il titolo “The Last of The Rock Star “ ancora appropriato per Ronnie che, alla sua età, non chiede altro che indipendenza, finalmente conquistata con questo album, e un pubblico riconoscimento per una carriera, quella del dopo The Ronettes, in cui ha sempre rifuggito il vivere di rendita. Questo album ne è un esempio lampante esempio.
Ernesto de Pascale
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