One of the best albums ever mixing rock and classical music
Era la fine del 1991 quando nacque la collaborazione tra un grande autore rock, Elvis Costello, e un grande quartetto d’archi, il Brodsky Quartet. Il risultato è the Juliet letters, disco di canzoni per voce e quartetto d’archi, il capolavoro che tutti dovrebbero avere nella propria discoteca.
Perché di dischi che uniscono musica classica e musica rock ce ne sono tantissimi, dal concerto dei Deep Purple a quello dei New Trolls, dalle rivisitazioni per orchestra e violino solista dei Doors e di altri autori rock curate dal violinista Nigel Kennedy fino al disco di Ian Hunter dei Mott the Hoople con l’orchestra. La lista delle citazioni potrebbe essere infinita ma il punto è che pochi dischi, veramente pochi, sono belli come The Juliet Letters. The Juliet Letters è un magico e commovente collage in cui la scrittura delle canzoni , e finalizzata alle canzoni, si fonde alla perfezione con la scrittura per quartetto d’archi, senza che nessuna delle singole parti, neanche per un istante, debba scendere a compromessi. Ognuna delle componenti esce valorizzata dalla collaborazione, una collaborazione che all’epoca coinvolse Costello e il Quartetto a tutto tondo, con i cinque musicisti che condivisero ogni singola fase della lavorazione dell’album, dalla scrittura dei testi a quella della musica fino agli arrangiamenti.
The Juliet Letters è musica classica. Ci sono parentesi strumentali che permettono ad una formazione cameristica straordinaria come è il quartetto d’archi di esprimere a pieno tutte le proprie potenzialità, con gli strumenti che dialogano, le parti che si incrociano, la tensione che cresce e si allenta , le dinamiche in continuo movimento. Ma The Juliet Letters è allo stesso tempo un disco di canzoni di Costello, con le sue inconfondibili melodie complesse e articolate, la sua ricerca armonica senza sosta, la sua scrittura rock lucida e chiara. Un maestro in quest’arte, e forse è proprio grazie a questa marcata capacità che nel corso della sua carriera gli è stato possibile muoversi da un genere all’altro uscendone sostanzialmente sempre a testa alta, dal pub-rock degli esordi ai dischi d’opera ( Il Sogno, Deutsche Grammophon 2004) . Ma per essere un grande autore di canzoni la musica non basta, ci vogliono le storie. La storia dietro The Juliet Letters è quella di un professore di Verona che rispondeva alle lettere indirizzate a Giulietta Capuleti. Basta una curiosità come questa a metà tra realtà e fantasia letta in qualche trafiletto a margine di un giornale per far nascere un concept in cui ogni canzone rappresenta un personaggio e una lettera diversa.
Intenso e drammatico, The Juliet Letters è in assoluto uno degli esempi più riusciti di fusione tra rock e musica classica. Si pone al margine di ogni genere, è un piccolo cammeo cameristico, ancora c’è chi non si spiega come un’etichetta come la Warner si sia presa, nel 1992, la responsabilità di pubblicare un disco commercialmente rischioso come questo. Oggi che sono passati 14 anni e che il disco, pur senza vendere molto, è diventato un classico possiamo dirlo forte: per fortuna che accettò. Oggi la sua ristampa appare come la soddisfazione di una necessità per tutti, il conferimento ufficiale all’album di status di Classic, la possibilità di tornare a parlare di un disco altrimenti di secondo piano nella discografia di Costello e la possibilità che il pubblico lo riascolti. Come nel 1992, anche oggi la Warner fa bella figura, pubblicando un intero bonus cd che contiene versioni live registrate con il Brodsky Quartet nelle esibizioni successive alla pubblicazione dell’album, cover di Tom Waits e Brian Wilson arrangiate per la stessa formazione, brani di Costello e Bill Frisell, molto altro ancora.
Un album che è un must per qualsiasi tipo di pubblico.
Giulia Nuti
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