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High Tide

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High Tide

Il casuale osservatore della storia del rock ricorderà che il concetto di una musica anarchica, rumorosa ed antagonista salì agli onori delle cronache nel 1976 a Londra, con l’avvento del movimento Punk e la nascita di formazioni come Sex Pistols e The Damned.

Ad ogni buon conto può essere fortemente argomentato, risultati alla mano, che uno sparuto gruppetto di formazioni alternative con le radici nella comune hippy di Ladbroke Grove, nel cuore della capitale britannica, a cavallo fra i sessanta ed i settanta possa essere indicato come antesignano e progenitore dell’anarchia aggressiva del Punk Rock.

L’osservatore meno casuale sussulterà a leggere questa sequenza di nomi :Social Deviants, Hawkwind, Skin Alley, Pete Brown’s Piblokto, Sam Gopal, Hapshash and the Colored Coat, Pink Fairies, Edgar Broughton Band, Titus Groan, Writing on the Wall, Third Ear Band, Kevin Ayers Third World, High Tide.

Per una breve stagione che sfiorerà i settanta, ma verrà inghiottita da avvenimenti musicali troppo schiaccianti per sopravivere in quel decennio, la comune nata sotto i ponti della M1 e della M4, alle estremità nordest di Portobello road, sfornerà una controcultura musicale viva e pulsante capace di auto gestirsi, come gli Hawkwind con la Blackwater production, ma di continuare a parlare al mondo esterno senza interrompere le trattative, per lo più attraverso la voce di Peter Jenner e Andrew King della Black Hill Enterprise, l’agenzia dei Pink Floyd che abbandonò il gruppo all’uscita del leader dal gruppo, rappresentate di gran parte delle band sopra menzionate.

In quel breve lasso di tempo, la comune artistica di Ladborke Grove trovò perfino voce nella industria discografica inglese, in piena evoluzione, che, tentando di arginare la creatività della Island records, capitanata dal geniale senso imprenditoriale di Chris Blackwell e dalla musicalità del suo braccio destro Guy Stevens, si inventò sussidiarie che avrebbero cambiato il corso del rock britannico.

La Phonogram fondò la Vertigo, la EMI aprì il marchio Harvest, la Rca affidò i nuovi talenti a John Peel con la sua Neon, la Decca optò per un nuovo marchio, Deram. Perfino la United Artists, celebre marchio cinematografico statunitense e approdato all’industria discografica da poco, aprì una succursale inglese per farsi spazio nell’underground. A loro il merito di aver messo sotto contratto il più tosto e pesante gruppo dell’intera schiera, i leggendari High Tide, un quartetto focalizzato sul binomio chitarra elettrica/violino elettrico, affidati rispettivamente al veterano Tony Hill ( ex The Misunderstood) e al taciturno Simon House ( poi con Hawkwind, Bowie, Australasia, System Seven di Steve Hillage), assolutamente unico per l’epoca e temutissimo per la compattezza che il suono proponeva.

High Tide rimasero stampati bene nella testa dei fans che seppero ravvedere nella musica durissima del quartetto il seme del dark sound dei primi Black Sabbath e, addirittura, a detta degli artisti stessi, le radici di quel genere Stoner apparso quasi tre decenni dopo. Una fedele seguito continentale con una decisa propaggine italiana ( Ciao 2001 dedicò a loro una recensione di una pagina su cinque colonne nel 2001 ) tramandò il nome attraverso mille ristampe, non tutte consentite, dei loro due unici classici, “Sea Shanties “ ed “High Tide”.

Ripubblicati oggi con ben 40 minuti di musica in più ad album dalla Eclectic che è risalita ai multi piste originali, la forza del gruppo e l’intreccio malevolmente acido e lisergico brilla per intensità e graffia con cattiveria. Il viaggio dell’estate dell’amore è solo due anni dietro le spalle ma il futuro è chimico e rappresentato da un suono hard che sostiene contenuti arcani e significati molto più profondi di quelli dell’esordio dei Black Sabbath.

Destinati a non restare in piedi a lungo, come un po’ tutta la comune di Ladbroke Grove che mutò lungo il percorso e si intersecò con altre, come quella tedesca degli Amon Duul II, l’unico gruppo a cui gli High Tide possano in qualche modo avvicinarsi, per Hill e House non ci fu neanche tempo di capire cosa non funzionò. Nel giro di poco più di diciotto mesi, una delle formazioni più singolari della musica britannica era già cosa del passato. Intanto “free concert” si erano tramutati in grandi happening e ad appannaggio dei gruppi più celebri e anche i corporativi erano passati al patchouli e ai Kaffettani di pecora e un giovanotto appena aventene aveva aperto un negozio di dischi alternativo ad Oxford street sopra un negozio di scarpe, il suo nome era Richard Branson, futuro magnate della Virgin records
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Solo il tempo, il passa parola, la validità dei contenuti, l’avvento del genere Stoner, Stephan McBean, guru della comune canadese dei Black Mountain li cita fra le sue ispirazioni, avrebbe fatto sopravvivere la musica degli High Tide intatta e inadulterata. Oggi, più tosta che mai.


Ernesto de Pascale

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