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The Independence Way
SPECIAL
The Independence Way
(ovvero: come essere indipendenti e avere successo)
Premessa: quanto segue è frutto di riflessioni personali e potrebbe non essere condiviso dalla redazione o dai lettori de “Il popolo del blues” ma nella filosofia del sito mi sembra ci sia anche il concetto “parliamo di musica liberamente e se si smuovono delle idee tanto meglio”. Credo perciò che lo scritto sarà pubblicato senza obiezioni. Se poi qualcuno non sarà d’accordo, me lo faccia sapere e volentieri ne potremo discutere. (RP)
Sere fa, durante un programma televisivo di intrattenimento diffuso a livello nazionale, un ospite si è esibito cantando il celeberrimo “Let’s rock” di Elvis. E fin qui tutto regolare.
Ad un certo punto la telecamera ha inquadrato il pubblico che batteva le mani a tempo, un pubblico eterogeneo e non dei peggiori a giudicare dall’aspetto e dall’abbigliamento. E anche qui, dal punto di vista dello show, niente da eccepire, sennonché gli spettatori, nessuno escluso, battevano le mani con grande entusiasmo sul primo e sul terzo movimento della ritmica e sfido qualsiasi persona dotata di un minimo di musicalità a farlo senza sentirsi a disagio, soprattutto considerando che questo accadeva su un classico rock anni ’60 dove la batteria esaltava, con precisi e ben assestati colpi di rullante, il secondo e il quarto movimento di ogni battuta (i cosiddetti colpi “in levare”).
Dovrebbe essere istintivo infatti seguire gli accenti forti del rullante per battere le mani a tempo e invece no: l’italiano medio (rappresentato quella sera dal pubblico), senza alcun disagio e in assoluta tranquillità, batte solitamente le mani al contrario, facendo una cosa che musicalmente è contro natura.
Chiarisco subito che non sto condannando nessuno e ognuno può usare le mani come vuole, ci mancherebbe, ma l’assurdo è che l’Italia passa per un paese musicale e di conseguenza i suoi abitanti sono ritenuti particolarmente portati e predisposti per la musica mentre probabilmente, nella maggior parte dei casi, lo sono soltanto per la melodia, che è tutt’altra cosa.
Questa considerazione, che sembrerebbe non avere niente a che vedere con l’argomento che segue, serve invece per capire come a volte gli stereotipi, messi alla prova dei fatti, possono crollare come castelli di carte.
E lo stereotipo che vorrei affrontare adesso è quello secondo il quale, in musica, il soggetto indipendente è più creativo e più artista se resta allo stato brado, senza condizionamenti di sorta.
L’indipendente può essere un discografico, un cantante, un musicista, un autore, ecc. che, proprio perché mentalmente autonomo e tendenzialmente allergico alle regole, non accetta consigli, soprattutto da chi in apparenza dà la sensazione di essere più metodico di lui.
Vero che in campo artistico se non si ha personalità e se non si è diversi da un impiegato del catasto difficilmente si riesce a combinare qualcosa di buono ma, fatto salvo il principio, la domanda è: fino a dove può arrivare l’indipendente da solo?
Il mondo infatti è pieno di genialità creative, di vulcani pronti a esplodere, di persone pronte a dare contributi innovativi e l’Italia non fa eccezione, però questi soggetti nella maggior parte dei casi si perdono per strada, sprecano il loro talento gestendolo male o confusamente, convinti che basta avere le idee giuste e il successo arriva. Se qualche volta capita, è la famosa eccezione che conferma la regola, esattamente come per il brano che va soltanto su internet e si fa notare in mezzo ad altre migliaia, mentre di contro ce ne sono centinaia che nel frattempo si affermano e vengono ascoltati e comperati su disco.
Ma l’indipendente quasi sempre preferisce fare da solo, convinto com’è che non può e non deve essere contaminato dalle logiche commerciali, che condizionano e frenano la sua ispirazione.
Questo in parte potrebbe essere giusto: tuttavia, senza un minimo di programmazione e di esperienza anche la creatività rischia di rimanere lettera morta e addirittura può trasformarsi in velleitarismo fine a se stesso.
Cosa dovrebbe quindi fare l’indipendente?
Se è un discografico, potrebbe per esempio ascoltare i consigli di chi se ne intende di marketing e promozione per pianificare meglio le uscite e farle conoscere ad un pubblico più vasto.
Se è un autore, cercare la collaborazione con altri autori in sintonia con lui, che siano in grado di limare, migliorare e rendere più fruibili i suoi testi e le sue musiche.
Se invece l’indipendente è un artista, dovrebbe perlomeno affidarsi a un produttore, non importa se famoso o no, basta che possieda la sensibilità per entrare nel suo mondo espressivo, che sia persona di fiducia e abbia il requisito essenziale di conoscere quello che succede dentro e intorno alla musica e capisca il genere che l’artista propone, così da decidere insieme quali sono le canzoni più adatte, quale vestito dar loro, quali musicisti utilizzare.
I discografici indipendenti sono riuniti in un’associazione che ultimamente sta dandosi obiettivi e programmi più consistenti che in passato. Ci auguriamo tutti che ci riescano ma che nel frattempo si aprano di più alla collaborazione reciproca e, se il caso lo richiede, anche con coloro che sono sempre stati considerati i nemici acerrimi, cioè i colleghi delle multinazionali.
Questi pensieri, opinabili fin che si vuole ma frutto di una pacata riflessione su ciò che ci circonda, dovrebbero ricordarci quanto già sappiamo e che stranamente, in nome di una malintesa libertà di pensiero e di azione, spesso ci dimentichiamo e cioè che la libertà è sacra e, come tutti ben sappiamo, senza di essa non nascerebbero e non circolerebbero le idee ma, proprio per far sì che le idee stesse raggiungano più teste e abbiano la possibilità di influenzare più gente, occorre dar loro ali e potenza per farle volare lontano.
Si otterrà questo quando l’indipendente, senza sterili remore, deciderà di uscire dal suo orticello e se per farlo dovrà chiedere aiuto o consiglio all’esperto venditore, al pianificatore, al mago della promozione, al capace produttore e magari farsi distribuire da una multinazionale, non dovrà vergognarsene.
Perché indipendenti è bello ma indipendenti di successo è ancora meglio.
Rinaldo Prandoni
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