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Ray La Montagne “ Devo lavorare molto su me stesso – mi dice durante il nostro intenso incontro nei camerini dell’Hammersmith Apollo – e quando sono entrato in studio, a soli 20 minuti di macchina da dove vivo, mi sono dovuto inimicare tutto e tutti per far capir loro che io dovevo vivere recluso su quella montagna ( quella dove ha sede lo straordinario Allaaire studio nel Massachussettes ) per far uscire fuori le canzoni”. La sensazione e' quella di trovarmi davanti a uno che ha tanto da dire e che tante ne ha viste. Non vuoi andare troppo e fondo per rispetto ma quegli occhi impauriti tolgono il fiato e ti verrebbe voglia di chiedergli se sta male, se ha bisogno di una mano. La canzoni dei due dischi hanno colpito in maniera trasversale una generazione allargatissima ed e' accaduto quel miracolo che sempre meno frequentemente vediamo ripetersi come fu per Van Morrison, Joni Mitchell, Prince: avere delle canzoni che hanno il dono della qualità e della comunicativa. Certo e' che in “When the sun turns black” si sono condensati alcune decine di tentativi mal riusciti fino ad oggi di vari e ben più autorevoli cantautori, ma lui di questo pare non essersene accorto. Sapendo che e' un lettore accanito, avido di notizie e curiosità, di storie vere o false, e attribuendo a Ray delle qualità cinematiche nel racconto sonoro ho portato a lui in regalo un libro sul neorealismo cinematografico italiano del dopoguerra ( ho pensato che dell'Italia non sapeva molto e lui, disarmante, ha confessato ) e un romanzo di Nick Toesches sui ministrel show dell'inizio del ventesimo secolo, “Where the dead voices gather “; mi pareva un bel pensiero, una cosa un pò diversa dalla solita firma di un album o dalla foto ricordo. Pensavo che una bella e interessante lettura potesse interrompere certa monotonia, far volare le idee. ”Forse anche io sono un artista vaudeville - mi dice guardando il burattino in copertina la libro - se fossi nato in quel periodo mi sarebbe piaciuto essere un medicine man – sorride - ma non più al giorno d‘oggi. Non mi piace sembrare quello che ha soluzioni. In verità io di soluzioni non ne ho neanche una, neanche per me – mi dice mentre le sillabe paiono non uscire dalle labbra e la voce si infievolisce sempre di più – e non ne voglio avere a dire la completa verità”, continua scuotendo la testa. Poi se ne va, lasciando lì i libri e dopo avermi stretto la mano ma senza guardandomi più di tanto negli occhi. Ma non c’è un posto dove andare perché siamo nel suo camerino e Ray torna subito indietro girandosi su stesso, per recuperare i libri e portarli chissà dove, forse sul tour bus. Osserva quello di Toesches, un nome che conosce. “Cerchi di far felice qualcuno ? “ gli chiedo mentre raccoglie le sue cose, un bottiglia d'acqua minerale che non ha mai aperto e gira da tutto il pomeriggio in sua compagnia, una pipa che sa di pakistano, “ no, cerco solo di non rendere infelice la mia vita più di quanto lo sia stata fino a pochi anni fa. Già quello, per me, sarebbe un grosso passo avanti”. Infine sfoglia alcune pagine del libro dell’americano, autore della biografia di Dean Martin e Jerry Lee Lewis, e mi ammonisce - o così almeno mi pare possa interpretare le sue ultime parole che mi dedica: “la qualita' primitiva della musica d'autore, l'appartenere a una tradizione, e' forse la nostra ultima possibilità di non essere inghiottiti dalla follia totale che ci circonda”. Mentre esco ripercorro la sua biografia e mi ricordo che questo uomo ha lasciato a casa una moglie e due figli nel Maine, che ha solo 33 anni, l‘età e il look di Jesus Christ, e che è anche una superstar assodata qui in Inghilterra. Salutandolo volevo augurare in bocca a lupo a Ray La Montagne ma non mi è venuto. |
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