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Ernesto de Pascale incontra Cochi e Renato


LEGENDA:
E: Ernesto De Pascale
R: Renato Pozzetto
C: Cocchi




E: Cochi e Renato tornano in palcoscenico a distanza di qualche anno. Un nuovo spettacolo, alcuni nuovi sketch dal repertorio nuovissimo e alcuni classici. In che cosa vi differenziate rispetto ai vostri precedenti spettacoli?
R: Più o meno lo spettacolo è nello stile del nostro modo di proporci. Come dice il manifesto, il titolo dello spettacolo prende il nome dal titolo di una canzone “Nuotando con le lacrime agli occhi”.
Il manifesto dice “Canzoni e ragionamenti” quindi sono dialoghi tra me e Cocchi e proponiamo le canzoni che sappiamo il pubblico vuole ascoltare da sempre e delle canzoni nuove. Più o meno le canzoni sono metà vecchie e metà nuove e qualcosa scritto qualche anno fa che non avevamo proposto in passato e che adesso abbiamo aggiornato.

E: E' cambiato qualcosa nel vostro modo di fare comicità?
R: Mah guardi, noi siamo noi, poi magari il tempo modifica un po' il modo di fare le cose però non troviamo differenza tra le cose scritte tanti anni fa e le cose scritte recentemente. Io credo che facciano parte tutte di un nostro modo di proporci.

E: Contemporaneamente al vostro ritorno in televisione e allo spettacolo teatrale che portate in tournee siete anche nei cinema. La comicità è cambiata, il mondo dell'industria cinematografica italiana è cambiato. Dove vi trovate voi? Come vi sentite in mezzo a questo? Potete commentare il vostro film in prima persona?
R: Il film è uscito e fa fatica. Fa fatica perchè è uscito in un momento in cui c'era grande affollamento di proposte e adesso stiamo a vedere cosa succederà.

E: Cocchi e Renato, un duo sulle scene del cabaret da tantissimi decenni. Proprio a voi possiamo chiedere cosa è cambiato nella scena milanese della comicità in tutti questi anni che voi avete attraversato con la vostra carriera.
R: Diciamo che quando ci siamo proposti noi le osterie erano pochissime, quelle che stavano aperte di notte erano forse una decina, una ventina. Noi comunque conoscevamo quelle che interessavano la nostra zona e poi un paio dove si ritrovavano gli artisti, che erano il Jamaica in via Brera e un'altra osteria che si chiamava Oca d'Oro in zona Porta Romana, dove io e Cocchi andavamo così - avevamo degli amici che si interessavano di pittura tra i quali Piero Manzoni – piu' che altro per passare la serata. Ogni tanto compariva una chitarra e si cantava però all'epoca avevamo 17-18 anni e non facevamo questo mestiere. Diciamo che come idea siamo nati lì, l'idea di proporci in pubblico che era il pubblico dell'osteria.

E: Avete conosciuto grandi artisti di generazioni precedenti, avete cominciato a lavorare insieme in un periodo pieno di brio e di grande creatività. Quali sono stati i vostri modelli e le vostre influenze?
C: Modelli e nostri ispiratori iniziali sono stati Dario Fo, Iannacci, Gaber, quelli di una generazione precedente alla nostra che erano un pochino i simboli di una creatività alternativa rispetto alle proposte dell'epoca che erano basate su Sanremo, sull'avanspettacolo e su un certo tipo di linguaggi abbastanza tradizionali.
Quindi non solo i cantautori dell'epoca, oppure artisti come Dario Fo, ma noi frequentavamo anche attori come ad esempio Tino Guazzelli. Questa gente del teatro di prosa che all'epoca erano personaggi un pochino fuori dagli schemi, anche come proposte nel teatro di prosa e nel mondo culturale dell'epoca. Guazzelli faceva già le prime apparizioni con Streler in Galileo di Brecht, poi c'era Salvo Randoni, e c'erano un sacco di attori, c'era un specie di Melting Pot di artisti che all'epoca dialogava. Questo era forse il vantaggio dell'epoca rispetto a oggi che ora non c'è più. C'era una commistione di vari generi, personaggi che si trovavano e vivevano delle notti insieme. Ci si parlava, si discuteva, ci si divertiva insieme e quindi c'era questa possibilità di scambio di idee.
R: Noi siamo nati così, in un cabaret improvvisato, perchè (un titolare di) in una galleria d'arte notturna, dove noi andavamo spesso a passare la serata e in cui abbiamo incontrato tra l'altro Iannacci, Gaber, Maria Monti, - soprattutto quando c'erano inaugurazioni vernissage delle mostre - finiva a tarallucci e vino e spesso con la chitarra ci divertivamo a cantare. Il responsabile-proprietario di questa galleria d'arte decise di aprire un cabaret nella cantina di un bar di via S. Sofia dove l'ospitalità era riservata al massimo a 20-25 persone, che si chiamava Cab64 dall'anno del debutto.
Da lì siamo passati al derby e la nascita di questo modo di proporsi che era appunto il cabaret ha fatto sì che noi andassimo incontro al pubblico senza avere una scuola, senza avere idee, senza avere riferimenti se non quelli di Iannacci, Gaber con i quali abbiamo diviso anche gli spazi del cabaret.

E: In quale momento della vostra attività avete compreso che la comicità che stavate presentando sarebbe stato il vostro lavoro, il vostro futuro?
C: Quando abbiamo cominciato, abbiamo iniziato a fare questo lavoro da ragazzini. Eravamo ventenni, abbiamo detto tanto cosa abbiamo da perdere, ci siamo buttati e ci è andata bene.

E: Da quanto tempo vi conoscete?
C: Fin da piccoli, i nostri genitori erano amici, e inevitabilmente abbiamo diviso l'infanzia, l'adolescenza e tutto quanto.

E: All'epoca dei vostri esordi, vi sentivate solamente dei cabarettisti inseriti in un linguaggio e in un mondo pieno di novità o vi sentivate anche dei veri e propri beatnicks?
R: Come dicevo prima, noi siamo nati in uno spazio assolutamente inedito per cui eravamo insomma quelli del cabaret e riferimenti erano pochi. Poi dopo tanti anni, 6-7-8 anni, hanno incominciato prima gli autori della radio e poi della televisione ad accorgersi che c'eravamo e ci hanno proposto prima dei piccoli spazi e poi sempre più in là finchè abbiamo debuttato in televisione con quelli della domenica e ci siamo accorti che forse questo sarebbe diventato il nostro mestiere perchè la gente ci fermava per strada per chiederci gli autografi, i giornali parlavano di noi fino ad arrivare a fare Canzonissima, dove la sigla “La vita, la vita” ebbe un grande successo, è stata anche prima in classifica per un bel po' di tempo.
Insomma lo spazio ce lo siamo conquistati poco a poco e come vedi ancora oggi siamo in giro a fare la battaglia.

E: Visto che il vostro è un cabaret non fatto solamente di parole, ma anche di musica, quindi un cabaret di parole e musica, di canzoni, oltre al vostro rapporto privilegiato con Enzo Iannacci, ci sono altri musicisti di riferimento o più precisamente artisti a cui voi avete in qualche modo aspirato di somigliare o essere?
R: Noi abbiamo iniziato cantando le canzoni popolari, poi è arrivato Iannacci e comunque c'è sempre stata una vena un po' così. Forse in una delle prime canzoni “A me mi piace il mare” la musica l'aveva accennata Cochi, adesso facciamo delle canzoni che ho scritto io. Non ci sentiamo impegnati in quel senso lì però se viene qualche cosa di divertente lo proponiamo.

E: Ma intanto la comicità, l'umorismo e la musica di riferimento di adesso sono cambiate in qualche modo, inesorabilmente.
R: Sì, sono cambiati i tempi, fatalmente, e la comicità, l'umorismo segue l'evolversi o l' involversi della società.
Sono cambiati anche i modi di proporsi: una volta c'era poca televisione e tanto cabaret. Oggi vedo che tanti artisti si propongono direttamente in televisione, attraverso ad esempio Zelig e fanno più in fretta a capire se funzionano o meno e se funzionano si parte in tromba. E' difficile star lì perchè magari si ha meno tempo da dedicare all'esperienza, alla recitazione.

E: Nel ritornare sul palcoscenico, vi siete posti il problema di quali dei vostri sketch e come essi dovevano essere riattualizzati rispetto al pubblico di oggi e invece quali di quelli stessi potevano rimanere nella loro sfera, nel loro alone di surrealismo?
R: E' come, ad esempio, la scuola che è un meccanismo nella quale i personaggi o le cose raccontate possono cambiare.
C: Sì, e poi riguarda, come diceva Renato, delle canzoni che abbiamo scritto tanti anni fa, delle improvvisazioni che abbiamo registrato in sala di registrazione senza riproporle in pubblico tipo “Silvano” che è una canzone molto strana che adesso facciamo tutte le sere ed è una canzone che lascia con gli occhi sbarrati alcuni.

E: E' quindi che cos'è il surrealismo per Cochi e Renato?
C: Surrealismo è avere la libertà di esprimersi partendo sempre da un plafond di realismo e poi lasciarsi andare per la tangente e liberamente associare idee e parole senza delle preclusioni e auto censure, cercando di esprimere anche nella follia “del discorso” qualcosa che abbia un senso.
R: Beh, noi siamo nati così. Questo modo di pensare, di esprimerci e di esprimere umorismo e della satira faceva parte del nostro modo di divertirci già prima di pensare di fare questo lavoro. Noi ci divertivamo così, poi magari lo abbiamo messo a fuoco però non era un progetto in quanto faceva già parte del nostro stile, del nostro modo di proporci.

E: Domanda per i più giovani: che differenza c'è fra il palcoscenico del teatro e il cinema?
R: Sono modi di lavorare diversi: in uno c'è il pubblico, c'è il piacere di godere subito di quello che si fa e la rappresentazione esige una forza immediata, nel cinema tutto è più ragionato, i tempi di esecuzione sono diversi, mentre noi in una serata (dal vivo) proponiamo un paio d'ore, nel cinema si fanno 2-3 massimo 4 minuti al giorno, è un modo assolutamente diverso di lavorare. Non so dire qual è il migliore, sono diversi ecco.

E: Qual è un ricordo a cui siete legati in modo particolare?
R: Forse nei primi anni di lavoro, quando avevamo un bel gruppo di amici - quel gruppo si chiamava Gruppo Motore – è stato il momento in cui abbiamo scoperto che c'era spazio anche per noi. Lavorare tutte le sere in cabaret, anche se per un pubblico ristretto, ci dava grande soddisfazione e soprattutto ci dava la possibilità di proporre cose nostre.
C: Anche per me la stessa cosa, perchè l'amicizia che abbiamo avuto, il rapporto di solidarietà, di aiuto reciproco che veniva dagli attori e registi già affermati, mentre noi eravamo ancora ragazzini, avevano già dei punti a loro favore tipo Iannacci, Bruno Lauzi, lo stesso Dario Fo ci ha aiutato, all'inizio voleva lavorare con noi ma abbiamo preferito defilarci perchè sarebbe stato facilissimo diventare dei cloni data la sua grande personalità prorompente.
Quell' inizio è stato il momento in cui la creatività era più vivace, più produttiva e poi anche il rapporto di divertimento che c'era. Noi tra le altre cose, oltre a lavorare, ci divertivamo. Abbiamo passato dei momenti difficili ma anche dei momenti molto divertenti.

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