Even Mars ain’t big enough for Deadburger’s creativity
Esistono sulla scena indipedente da moltissimi anni continuando imperterriti un processo di ricerca che tenga presente i più disparati punti di vista senza concedere mai niente allo scontato. I fiorentini Deadburger sono un coraggioso progetto di Vittorio Nistri e Simone Tilli, tastierista il primo, cantante e chitarrista il secondo coadiuvati nella loro lunga storia, da molti altri validi musicisti che i due continuano a scegliere con grande attenzione a seconda delle esigenza.
Deadburger producono non solo musica ma anche un mondo magico e parallelo fatto di soundescapes, sketch rumoristici e sollecitazioni cinematiche con una cura tutta originale per le strutture di quelle che noi conosciamo con il termine canzoni. La musica attinge da più fonti: la eco di una new wave di ricerca si incunea fra le pieghe di un prog underground che riemerge attraverso le trame di un jazzrock di vaglia, senza mai dimenticare la lezione di Frank Zappa.
L’effettistica è parte integrante dei lavori del gruppo e molti intermezzi infarciscono l’ascolto del più recente “C’è vita su Marte “ un album in cui gli sforzi corali sono più focalizzati delle volte precedenti. Dal punto di vista strumentale ci sono infinite piccole finezze che rendono il disco interessante mentre non si ferma la sagace ricerca di tematiche abrasive (“come ho fatto a finire in questo deserto”, la divertente “istruzioni per l’uso della signorina Richmond” che soffre solo la mancanza di un fabulatore vocale come il grande Demetrio Stratos,”come tagliare le mani a un fantasma”, “anche i bocconiani hanno cominciato da piccoli”) anche se sarebbe interessante vedere il gruppo misurarsi con un uso meno criptico dell’italiano . Uno dei brani migliori è “Deposito 423” dove c’è tempo per assorbire tutto ed è da menzionare anche la conclusiva “il ciclo r.e.m di una città stanca”, molto bello, una mix fra primi Weather Report, Zappa e VDGG, dove il balance delle molteplici proposte è, più che in altri brani,perfettamente riuscito.
La costanza pagherà lo sforzo dei Deadburger, ne siamo certi!, e pensiamo che anche loro stiano osservando come intorno l’ago della scena mutevole si sia spostata in qualche modo a loro favore, perciò varrebbe la pena intraprendere uno sforzo in più proprio ora. In America artisti come David Tibet e i suoi Current 93 si muovono, oltretutto, in campi sonori simili e non c’è motivo per cui Deadburger non debbano provare a misurarsi con nomi simili.
Un produttore esterno come termine di paragone, un tecnico del rimissaggio e più in generale una determinazione del gruppo a inserire un minor numero di messaggi in un solo album (57 minuti, 22 brani, impossibile tenere qualcosa allo stato attuale dell’eccesso di informazioni in cui viviamo!) aiuterà sicuramente la formazione a fare quel salto di qualità che si sente essere ad un passo da “C‘è ancora vita su Marte“.
Ernesto de Pascale
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