Un vetro che si spezza, una lama che taglia, lacerante, doloroso, sgranato. Se dovessimo descrivere per aggettivi e immagini il nuovo capitolo della discografia dei Low sarebbe questa la strada da seguire, una strada di immagini come quelle che la loro musica lenta e misteriosa ha sempre saputo sottintendere. Una musica che è come un ingranaggio che scorre lentissimo e inesorabile, come un film a rallentatore, fatta di pause e di riprese, di colori, di dinamiche e di silenzi.
Forse “Drums and Guns” ha proprio i colori e le emozioni del grigio e del freddo del metallo delle sue pistole. E’ un album fatto di poco, quasi di niente, a tratti solo di accenni di drum machine come in Breaker. E’ fatto di perle abbandonate qua e la, lasciate cadere con nonchalance e senza far rumore come Dragonfly, Your Poison o come la più blues Dust on the Window, di linee melodiche a volte cantilentanti come in Sandinista, di giochi ritmici discreti ma importantissimi e anche di brani più ironici e rock come Hatchet.
Nel loro “poco” i Low sono stati capaci di fare tanto, di non abbandonare mai il loro appeal minimalista e rivolto alla ricerca dell’esenziale eppure di cambiare e crescere come sono cresciuti loro in questi anni, tredici dal loro esordio.
“Drums and guns” è una conferma del talento di questo trio di Duluth, è un album più ritmico del precedente, meno dilatato di come è stata la loro musica in passato, dal sound esile, senza mai muri di chitarra, con la presenza costante di ticchettanti drum machine sullo sfondo.
A non rimetterci, come sempre, è l’intensità, con la capacità inconfondibile di questa band di dare peso anche alle più piccole sfumature.
Giulia Nuti
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