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Guster - Gangin’Up On The Sun
(Reprise/Ryko)
www.guster.com

Too eclectic to fix it, Guster is an american powerful band full of export and talented musicians. A name to watch if you like Ben Folds, Ben Kweller, Brendan Benson, Gomez, The Aliens, Beta Band

Gli americani Guster sono una (ex) college band entrata di diritto nel circuito dei jam festival più importanti come Boonaroo attraverso la porta stretta e scomoda del Power Pop che, quando ben assimilato, come nel loro caso, riecheggia il meglio dei due mondi occidentali.
Sulle scene dai tardi novanta il gruppo ha già molta musica all’attivo e una attitudine friendly che pare edificare quei molti fan americani che si sono tenuti stretti il successo di una band praticamente sconosciuta qui da noi.
Con i Guster di “Gangin’ Up On The Sun” siamo nell’area di artisti come Ben Folds, Ben Kweller, del Brendan Benson solista ( come nel caso della lunga
“Ruby Falls” forse il miglior brano della raccolta caratterizzato da una eterea coda trombettistica) o di vecchi leoni come Plimsouls, 20/20, i primi Heartbreakers di Tom Petty, Dwight Twilley, Big Star e di tutti quei minori che i Guster forse neanche conoscono. Poco importa perché è chiaro che siamo davanti a una formazione compatta che suona con la testa e la determinazione di chi sa cosa vuole.
In “Manifest Destiny“ il gruppo punta evidentemente alle college radio - l’arpeggio di piano ricorda lo stile brevettato da Ben Folds - con rimandi beatlesiani e cori aperti a 360° e in “The Captain” Guster pare aver voluto sviluppare certe tematiche sonore care a The Byrds di “Younger the Yesterday” o ai californiani Eagles degli esordi con un bel mix di banjo, pedal steel guitar e Telecaster. Basta però voltar pagina e trovarsi di fronte a qualcosa di completamente differente come la successiva “The New Underground” che non sfigurerebbe nel repertorio dei britannici Gomez. Nei brani più semplici come la radiofonica “ C’Mon” il gruppo rievoca The Who di “Let’’s See Action”, quindi la frangia più americana della formazione di Daltrey e Townshend mentre in “The Begininning of The End” non si può nascondere una strizzata d’occhio alle ultime leve inglesi, contendenti indirette dello stesso scettro sonoro a cui puntano i Guster.
Una formazione eclettica, insomma - anche troppo! se valutata nel suo insieme - che potrebbe disorientare e soffrire la sindrome di altri ottimi artisti internazionali come la compianta Beta Band o Gomez. Talenti inafferrabili che, alla firma di un contratto, fanno gola ai discografici più illuminati ma che, nel caso di risultati non eclatanti, rischiano di vivere la propria carriera sul filo del rasoio, appesi al filo di una prevedibilità per loro, forse, innaturale.

Ernesto de Pascale

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