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La carica goliardica dei Wombats irrompe a Firenze
Wombats
Viper Theatre, Firenze
13 Aprile 2008

I Wombats sono stati una delle band emergenti del 2007 ad avere riscosso maggiore successo. Il primo album dei tre di Liverpool, A Guide To Love, Loss & Desperation ha raggiunto l’undicesima posizione nella chart britannica ed è stato accolto generalmente bene dalla critica. Del trio è stata apprezzata soprattutto la carica giocosa che riescono a dare alle loro canzoni, una sorta di pop semplificato fino a toccare le corde del punk. Tuttavia non in maniera commerciale o adolescenziale. I Wombats su disco suonano come una band di giovanotti che si esibisce in qualche party di fine anno scolastico, il divertimento è tanto. Allo stesso tempo numerose voci si sono rincorse sulla grande eccentricità e goliardia che si respira ai loro show.
La tappa fiorentina del tour europeo ha permesso di verificare quanto questa fama fosse meritata.
Il Viper Theatre si presta bene agli show di giovani gruppi emergenti. Non è enorme, ma allo stesso tempo è capiente, ha uno spazio organizzato bene e l’acustica è discreta. Per l’occasione, poi, era affollato, fin quasi al completo, da una miriade di adolescenti, tutti vestiti più o meno alla solita maniera. Fatto ormai consuetudinario e anche ricorrente nei tempi, nato da quando esistono band capaci di richiamare i giovanissimi. I Wombats, senz’altro, sono tra queste. Per l’occasione non sono entrati sul palco vestiti da personaggi delle fiabe, come vuole la leggenda, ma hanno dimostrato un’invidiabile capacità di coinvolgere il pubblico. Alle prese con una platea il cui inglese non era ad alti livelli, sono riusciti a farsi intendere, a coordinare sgangherate coreografie, a far cantare e soprattutto ballare fino allo sfinimento una massa di imberbi fan. Il calore, non solo metaforico, che si respirava alla fine dello show, è stato la giusta firma su un’esibizione breve ma intensa. Breve perché con un disco di 13 canzoni all’attivo, superare l’ora diventa difficile, intensa perché senza una sola pausa, tutta di un fiato. Intervallata da pochi commenti, oscillanti sempre tra un non sense tutto british e molta ironia. I singoli, quelli che ogni fan canticchia più o meno a orecchio, sono stati eseguiti tutti. Da Moving To New York a Kill The Director, da Backfire At The Disco fino alla più famosa, a ragione, Let’s Dance To Joy Division. Matthew Murphy, voce, chitarra e tastierina giocattolo (c’è anche questo ai concerti dei Wombats) canta come nel disco, non stona e non eccelle, sotto certi aspetti, con il dovuto rispetto, la voce è simile a quella di Robert Smith dei Cure del primo periodo post-punk. Alla batteria, bravo e surreale nelle presentazioni delle canzoni, Dan Haggies. Al basso un distruttivo Tord Øverland-Knudsen, norvegese trapiantato in terra di Albione. Tira fuori il fiato solo per i coretti nei ritornelli, il sospetto che avesse alzato un po’ il gomito si fa largo tra il pubblico, ma il risultato finale è buono.

Come già detto, il concerto è elettrizzante, coinvolgente. La band dimostra di meritare i tanti aneddoti che le girano attorno, lo sfascio finale degli strumenti esalta gli spettatori. Non è stato in realtà un granché, le chitarre più costose sono state risparmiate, forse per qualche diktat dall’alto, e il tutto sembrava più o meno programmato. Tuttavia, dopo la buona esibizione, si può anche passare sopra a questi particolari.
Matteo Vannacci
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