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INTERVIEW

My Teenage Stride
www.myteenagestride.com

Suonare giovane e sentirsi in forma
Intervista di Mark Zonda

"Robert Pollard. Uno dei migliori songwriter del ventesimo secolo. Forse oltre!" Jed Smith, dei My Teenage Stride. 
Si respira un po' la follia di Daniel Johntson tra le batterie alla Fratellis di "Heart Shackles". I My Teenage Stride mi hanno incuriosito fin dal primo ascolto per l'approccio istintivo e appassionato di Jed Smith nei confronti della musica, soprattutto nella ricerca musicale e compositiva legata al suo progetto. L'aria un po' arrogante e stralunata di molte delle canzoni di Jed traspare in modo abbastanza ineludibile e chiaro anche in questa intervista che vi apprestate a leggere. Hanno già conquistato una buona fetta di fan nei dintorni di Brookyn. Ora Jed Smith cerca il grande balzo per scavalcare perfino il ponte più lungo e mirare ad un pubblico internazionale.

Mark Zonda: Caro Jed. È difficile essere indipendenti in America?
Jed Smith: Mah. Non lo so. E' difficile essere Indipendenti? Cosa intendiamo? Indie? Ma cos'è 'sto indie? Parliamo di Indiana Jones? Siamo proprio sicuri di volere essere come lui? Guarda che si becca un sacco di ferite! Poi rimangono le cicatrici! Forse è un po' troppo tosto essere come lui.
Mark Zonda: Va beh. Come vi siete formati ad ogni modo?
Jed Smith: My Teenage Stride si sono formati quando qualcuno ha chiesto se ce la facevamo a mettere su un album dopo che aveva sentito una compila fasullissima che avevo registrato con dei brani fake psych-pop e garage... che non esistevano! I nomi delle band erano tutti inventati e avevo creato tutto da solo con il mio quattro tracce! My Teenage Stride era il nome di una delle band fasulle che erano sulla compilation. Per qualche assurdo motivo ho deciso che il nome era quello giusto, e ho continuato a usarlo. Ho fatto una cazzata? Mi sa proprio...
Mark Zonda: Sono senza parole! Questa è chiaramente l'opera di un genio! Pensavo che solo una mente malata come la mia potesse arrivare a tanto. Senti, giusto per curiosità, ti ricordi qualcuno di quei nomi finti?
Jed Smith: Dunque dunque, i nomi finti... fammi pensare. Avevo usato Arabian Waterpark, The Empty Ess, Sinking Joe Luis, Wine, The green Ivy League. Oh, mi ricordo questi. Niente di che.
Mark Zonda: E nomi di band finte fighe per cui fai il tifo?
Jed Smith: Sono un fan di King Shit & The Golden Boys.
Mark Zonda: Ma è così figo essere una band immaginaria senza etichetta?
Jed Smith: Se è figo essere senza etichetta? Ma secondo te, questa è una domanda? Dipende da quali sono i tuoi obiettivi, da quello di cui hai bisogno. Nessuno degli album dei My Teenage Stride è auto-prodotto. E sono tutti cd stampati realmente. Li hanno prodotti piccole etichette, ma non siamo legate a nessuna di loro in particolare. Facciamo un album qui, un album là e vediamo cosa capita. Ma, sai come vanno le cose, un'etichetta con tanti soldi solitamente fa cose come affidarsi ad un manager pubblicitario e sborsare grana in anticipo. La prima delle due cose in genere fa poi in modo di farti apparire nei blog e nelle riviste più fighe con tanta gente interessante. Oh, nonostante questo, non so come, finiamo su blog e riviste allo stesso modo. Non so come mai.
Mark Zonda: A quale etichetta importante faresti il filo?
Jed Smith: Un'etichetta che mi piace? 
Mark Zonda: YES!
Jed Smith: Beh, la prima che mi viene in mente è la Slumberland. Mike ha veramente gusto, basti pensare che ha sfornato un paio dei miei album preferiti degli ultimi 15 anni, come il secondo degli Aislers Set e Black Tambo. Poi un sacco di miei amici sono sotto Slumberland. Non ci sarebbe neanche da starci a pensare.
Mark Zonda: Ma se tu, poniamo il caso, arrivassi a poter pubblicare un album prodotto da Slumberland, pensi che ti porterebbe a scrivere e incidere canzoni sotto un'altra prospettiva?
Mark Zonda: No, non penso che cambierei il mio approccio alle canzoni per nulla al mondo. Quello che faccio lo faccio solo per divertirmi, punto. Devi sapere che in testa ho una specie di classifica delle canzoni preferite tra quelle che mi vengono in mente, quindi sono molto selettivo con me stesso. Mi mantiene attivo. Comprendo la pressione di dover accontentare le aspettative di un certo pubblico che ti segue, ma è da un pezzo che non ci faccio più caso. Cerco di fare canzoni che mi piacerebbe ascoltare. Voglio dire, questo è il mio piccolo universo, e sono io che faccio le regole. Non vorrei per nulla al mondo che qualcuno o qualcosa ci si intrufolasse per rovinare tutto.
Mark Zonda: Jed. Hai fatto una canzone chiamata Gallipoli. Non è che per caso sei capitato in Italia?
Jed Smith: Gallipoli, allora, sì. Dunque. No. Non sono mai stato in Italia, anche se ho dei parenti in Abruzzo, mi sembra. Gallipoli si riferisce alle schermaglie turche avvenute nel 1915. È una metafora? Una cosa fatta così a casaccio? Meglio che non ci pensi. La canzone in realtà parla di... beh, altre cose.
Mark Zonda: Bene. Allora ci puoi dire cosa ti attrae di più delle altre cose e quali altre cose trovi più attraenti?
Jed Smith: Nella musica degli altri? Urca... sono confuso. Mi piace il reverbero, le registrazioni con suoni strani, le melodie vocali, i testi ambigui, le batterie che fanno casino. Se invece ti riferivi alle persone mi piace molto il senso dell'umorismo e la modestia. Ma non ne sono troppo sicuro.



Mark Zonda: Jed, ho dato un'occhiata ai vostri ultimi concerti. Pensate che suonare nelle pasticcerie sia il futuro? 
Jed Smith: Beh, guarda. Suonare nelle pasticcerie è il futuro veramente per un sacco di gente. Penso che mi sia capitato di suonare in una pasticceria almeno una centocinquantina di volte. Guarda che è figo! Andy Bodor ha fatto di più per la musica in New York che chiunque altro negli ultimi cinque anni.
Mark Zonda: Ma quindi gli showcase sono meglio dei concerti negli stadi?
Jed Smith: Fino a quando continueranno ad esistere gli stadi continueranno a snervarmi anche gli show che di fanno. Non c'è mai stato niente che mi abbia divertito all'interno di uno stadio.
Mark Zonda: Qual'è stato il motivo del successo di "Live and die in the airport lunge"?
Jed Smith: Il suo successo? Non lo so davvero. È una cosa alquanto bizzarra. Sono passati ben tre anni e continua a saltare fuori da ogni parte. Oh, non è che la cosa mi secchi, è che non la capisco veramente. Voglio dire, ci avrò messo mezz'ora a scriverla!
Mark Zonda: Ma non è che ti sei ispirato a "The Terminal", il film con Tom Hanks?
Jed Smith: No, no. È stata ispirata da un documentario dei Guided By Voices. C'è una scena in cui ritornano in un posto chiamato "L.A. Lounge" e a Robert Pollard viene in mente di scrivere "To live and die in the L.A. Lounge". Io l'ho cambiato in "Airport Lounge"! Oh, "To Live and Die in L.A." è il terzo film capolavoro di William Freidkin e dovresti procurartelo immediatamente! Fa il paio con "Manhunter di Michael Mann per gli effetti speciali.
Mark Zonda: I Guided By Voices! Che gruppone! Ti piacerebbe fare un bel duetto con Bob Pollard? Ma dove cavolo trova le energie per scrivere 5 album all'anno quel vecchietto?
Jed Smith: Robert Pollard. Uno dei migliori songwriter del ventesimo secolo. Forse oltre! Le sue cose migliori sembra che siano state sempre lì, esistite da sempre, come se si fosse trattato soltanto di mettersi a scavare per tirarle fuori dal nulla. C'è una qualità così unica in quello che fa che non sono neanche sicuro che sia esistito qualcun'altro in grado di tenergli testa nell'arco degli ultimi vent'anni. Preferisco il suo periodo Alien Lanes, ma ha scritto qualcosa come 200 canzoni geniali, che è 199 canzoni di più rispetto a qualsiasi persona che sia in grado di venirmi in mente al momento. Sai cosa? Mi piacerebbe fare un album con lui via email. Io gli faccio le basi, e lui mi rispedisce indietro le parti cantate. Sarebbe una figata.


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