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Little Axe: Champagne & Grits
(Real World Records - 2004 USA)
Skip MacDonald, l’uomo dietro Little Axe, nasconde soprattutto musica sperimentale che un tempo si sarebbe definita psichedelica, macchiata di Blues, di echi africani, di rock pesante in misura varia secondo gl’umori, i luoghi, le situazioni. Una musica che per natura sfugge alle etichette per cui è vano cercare d’affibbiarne una a questo Champagne & Grits, un disco che non sfigurerebbe nel catalogo Fat Possum. I brani non sono episodi avulsi dal contesto generale ma si presentano in un insieme che, altro ricorso al passato, anni fa si sarebbe definito come concept album. Solo al terzo pezzo, “Mean Things”, il Blues emerge sotto forma d’incubo gospelizzante per scivolare in un brevissimo intermezzo chitarristico, che sarebbe il quarto pezzo, riaffiorando in “Walk on the Water” e “Go away Devil” con tanto di voce narrante, altre voci filtrate, un’armonica che svisa nel vuoto. Qualcuno direbbe che si tratta di un Blues paludoso, dove s’attende l’arrivo urgente del Voodoo, ma con la Louisiana non ha niente a che fare, soprattutto quando si presenta una voce femminile che ricorda le nenie del Pow-wow indiano. In sottofondo lavora un basso da film d’orrore, assieme a rumori gutturali assortiti. Una musica difficile da descrivere a parole e che sfugge a una chiara etichettatura, e questi due elementi son certamente due buone notizie. D’altro canto se soffrite di qualche malattia contemporanea tipo depressione, astenia, manie di persecuzione, stati fobici e similia, non è questo il disco che vi farà guarire, anzi. Non mancano pero’ le belle canzoni come “Living and Sleeping in a dangerous Time” e l’eterea “Clouds” uno scherzo da chitarrista classico, giusto per far finta che la normalità, meglio uno stato di relativo benessere, da qualche parte esistano prima di concludere con “Sinners”, l’ennesimo incubo. Un disco originale, ed è già un gran pregio, da metter vicino a Ummagumma.
Luca Lupoli
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