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VINTAGE!...ma non li dimostra
Renzo Arbore e gli Arborigeni
(Atlantic)
Al primo ascolto si rimane disorientati, vuoi per la grande quantità dei brani proposti, vuoi perché non si sa bene che direzione prendere per azzardare una seppur minima parvenza di giudizio.
Ma al secondo ascolto tutto diventa più chiaro e ci si rende conto che il nuovo album di Renzo Arbore, che sembra doppio, è in realtà l’insieme di due dischi separati, ognuno con una differente produzione e con una diversa filosofia di fruizione.
Il primo cd infatti, quello con gli Swing Maniacs, a parte per “Meno siamo e meglio stiamo” (versione italiana swing-ska di “Everybody’s got a cousin in Miami”) è immerso in una atmosfera ricercata, misurata, attenta ad una raffinatezza che nemmeno nei momenti più vivaci scappa di mano: musica da club di alta classe.
Il secondo disco, invece, pur contenendo alcuni episodi simili, ribalta tutto in una situazione confusionale, una specie di festa dove ogni invitato può esibirsi nel karaoke che gli è più congeniale e il risultato è una miscela di voci e generi disparati, proposti nel modo più casuale e inaspettato, spiazzando l’ascoltatore ma nello stesso tempo divertendolo se riesce a coglierne lo spirito che, come sosteneva De Coubertin, deve essere quello di partecipazione più che di perfezione.
Renzo Arbore, dominatore del primo cd, è riconosciuto re dell’ironia in punta di forchetta e anche qui non mancano episodi che lo confermano: per esempio in “Tell me, you will love me forever” (sorprendente versione inglese della vecchia “Vieni, c’è una strada nel bosco”) fa il verso a Elvis, non solo cantando, ma introducendo sopra la ripresa dell’orchestra perfino il canonico parlato gigione stile “Are you lonesome tonight?”, offrendoci poi, con “Maramao” servito in salsa soft-swing, un ritratto inedito del micio ruspante trasformato in sofisticato gatto soriano.
Ci viene perciò da sorridere quando leggiamo che è sua ferma intenzione farsi accettare come serio crooner, salvo poi ricrederci all’ascolto di “I know it’s over” (E se domani), “Al posto mio”, “I’m getting lost again” (Se tu non fossi qui) o del doppio omaggio a Nat King Cole (Non dimenticar, Capuccina): l’interpretazione è curata allo spasimo e dove la voce non sorregge, qua e là spezzata sulle note alte, suppliscono il gusto e la musicalità.
Nel secondo cd Renzo, quasi a preparare il terreno per gli invitati, apre con due canzoni allegre su ritmi latini (Por dos besos, Macariolita), poi lascia campo libero e da quel punto in poi sembra che ognuno ne approfitti per presentare quello che più gli piace.
Non c’è lo spazio per parlare di tutti, anche perché ci sono alti e bassi dovuti, come già si è detto, soprattutto alla quantità di materiale proposto e di interpreti in gioco, ma sembra giusto iniziare dal ritrovato provino in spagnolo di Roberto Murolo (Desesperadamente), struggente e, per sensibilità e garbo, da classificare fuori concorso.
Riuscita la versione in inglese de “Il Materasso” (The mattress), cantata in coppia da Arbore e Isabella Rossellini.
Divertente “Zumpo” di Sergio Laccone, anche se nel montu?o (si dice ancora così?) cita sfacciatamente una hit latina di un paio di anni fa.
“In cerca di te” è una canzone alla quale sono legato campanilisticamente (Sciorilli, l’autore, era mio concittadino) e Mariangela Melato la interpreta deliziosamente, con l’aria di chi si trova lì per caso ma in realtà sa bene cosa sta facendo.
“Sono tre parole” è cantata splendidamente da Antonella Aprea: dieci e lode.
“Spontaneous combustion” è un concentrato ad alta gradazione di entusiasmo e di sano swing: è il Gegé Telesforo che preferiamo.
“Luisa” di Greg & Blues Willies è divertente, “Il ribelle” di Max Paiella è un tuffo corposo e attualizzato nel rock anni ’50.
Una curiosità: “A pretty love song” è la versione inglese di “Non dimenticar le mie parole”, già proposta da Arbore nel primo cd ma, trattandosi di una bella canzone, non guasta.
Alla fine, anche se forse non è possibile dare piena assoluzione, bisogna riconoscere che, considerata l’eterogeneità dell’insieme, trovare in una sola raccolta una percentuale così alta di tracce valide non è cosa da poco, specie in tempi nei quali basta un discreto singolo per costruirci sopra un album completo.
Il giudizio perciò non può che essere positivo, con l’avvertenza che il tutto va ascoltato e gustato come se a presentarcelo fosse un amico di vecchia data, uno al quale si è talmente affezionati da essere disposti a passare sopra ad eventuali pecche e piccoli difetti.
E Renzo Arbore per noi è questo: un caro vecchio amico che non ci tradisce e al quale si perdona tutto, perfino la volontà di diventare un serio crooner.
Rinaldo Prandoni
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