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Interview - Intervista Susan Tedeschi Intervista a Susan Tedeschi 7 febbraio 2006 Susan Tedeschi ha la modestia dei grandi musicisti. Sa cosa vuole da se stessa e dalla musica che interpreta e scrive. Sa che ha talento, ma è sempre pronta ad imparare da chi ha più esperienza di lei.
Sì questa è prima volta che vengo in Italia e a Roma, ma so per certo che tornerò a suonare dal vivo in maggio. Cosa mi sai dire del tuo cognome, che tradisce origini italiane? Mio nonno era italiano, ma non riesco a ricordare di quale parte d’Italia fosse. Ho chiesto a mio padre, che è l’esperto di famiglia, e sto aspettando la risposta. So per certo che il mio cognome originale era “Tedesco” e, credo che la mia famiglia fosse originaria del centro Italia, ma come ho detto devo aspettare conferma da mio padre. ‘Hope & Desire’, il tuo ultimo album, è stato uno dei migliori lavori del 2005, fatto tutto di cover blues, rock e R&B. Quanto tempo c’è voluto e quanto è stato difficile per te scegliere le canzoni da inserire nel CD? È stata un lunga avventura che ho condiviso con il mio produttore, Joe Henry, e con il responsabile della mia casa discografica. L’idea di registrare un album di cover infatti è nata tra di noi. Da lì poi è iniziata la scelta delle canzoni nella quale, ammetto, ho giocato un ruolo decisivo. Quali sono stati i criteri adottati per la scelta delle canzoni? Ovviamente dovevano essere belle canzoni [ride]! E all’ascolto dovevano offrire qualcosa, a livello musicale, spirituale, emozionale e - perché no? - politico. Mi piaceva poi mettere insieme autori simili ed al tempo stesso diversi fra loro: Keith Richards e Ray Charles, Bob Dylan e Donny Hathaway.
Abbiamo registrato altre canzoni: per esempio ‘I Wish I Knew’ di Nina Simone è una di quelle, così come "Mr. Charlie’ dei Grateful Dead" e quest’ultima si può scaricare da I-Tunes come extra track. Il disco inizia con ‘You Got The Silver’, che è una canzone dei Rolling Stones, ma prima ancora di Keith Richards visto che la canta lui in ‘Let It Bleed’. A chi è venuta l’idea? Devo essere sincera: è una delle canzoni preferite di Joe Henry. Sono una fan di Keith e ho scelto di cantare quella canzone proprio come un tributo a lui e quella che senti sul disco è una delle prime versioni registrate, perché la canzone l’abbiamo preparata in studio e suonata in diretta. In effetti tutto il disco sembra essere suonato in presa diretta per quanto è fresco e dinamico Il nostro obbiettivo era proprio quello, e se ci siamo riusciti è merito della band che era così motivata e piena di energia e feeling e sì, abbiamo registrato le basic track dal vivo in presa diretta e poi aggiunto i cori e i solo. Credo che alla riuscita del disco abbia contribuito il fatto che conoscessi i musicisti coinvolti nelle registrazioni dai tempi del college [il bassista Paul Bryan ed il batterista Jay Bellerose], quando vivevo a Boston. Una strana coincidenza che ha facilitato moltissimo le registrazioni. C’era molta eccitazione e voglia di suonare insieme nello studio e questo credo si senta. Conoscevo Doyle Bramhall II dai tempi in cui suonavo insieme alla sezione ritmica dei Double Trouble di Stevie Ray Vaughan. Abbiamo suonato insieme per un po’ e anche questo ha contribuito moltissimo. Nel disco suona tuo marito, Derek Trucks. I suoi due interventi (‘You Got The Silver’ e ‘Lord Protect My Child’) sono da brividi poche note, perfette. Non dovrei dirlo io, che sono sua moglie, ma è davvero bravo. Quest’anno avrete poi la possibilità di vederlo ed ascoltarlo anche in Italia, perché sarà in tour con Eric Clapton [il 7 luglio a Lucca]. E quando ci sarà un double bill Susan Tedeschi & Derek Trucks? Un giorno forse [ride] abbiamo suonato insieme e sul palco ci troviamo benissimo. Credo però che Derek senta il bisogno di suonare la “sua” musica, così come del resto anche a me piace e poi non saprei cosa altro dirti [ride]. In realtà abbiamo pensato di fare un tour con le nostre band nel quale prevedere anche un set insieme, ma è solo un progetto. Quindi anche per voi vale la regola di tenere la vita privata staccata da quella professionale… Credo che sia la cosa migliore. Se poi capita va bene, ma per il momento è bene lasciare che questo equilibrio funzioni. In questo disco ti confronti con alcune tra le più belle voci del R&B d’America: Aretha Franklin, Ray Charles, Otis Redding, Etta James… Come ti sei sentita, che sensazioni ti sei portata in studio mentre registravi la tua parte? Ho cercato di esprimere contemporaneamente me stessa e il mio amore per quei cantanti che prima di me avevano cantato quella canzone. Non mi sono sentita “intimorita” dalle versione che, per esempio, Ray Charles ha fatto di ‘Tired Of My Tears’; ho cercato di mettere in gioco tutta me stessa, soprattutto perché la canzone mi piaceva e la sentivo vicina a me. Mi sento sicura delle mie possibilità, e della sincerità con cui mi avvicino alle canzoni altrui. Credo che sarei intimorita se sapessi di dover cantare una qualsiasi canzone davanti all’autore o all’interprete che l’ha resa famosa. Cantare ‘You Got The Silver’ davanti a Keith Richards: questo mi renderebbe nervosa! In questo disco la tua voce riesce, pur rimanendo inconfondibile, a cambiare diventando dolce nei pezzi country e ruvida e “nera” nei brani soul come ‘Security’ e ‘Evidence’… e’ come se tu fossi al servizio della musica, contro le regole del music business di adesso in cui è necessario avere uno stile immediatamente riconoscibile. Mi sento molto fortunata perché per ora sono riuscita a fare la musica che volevo e come volevo. Credo di aver lavorato duramente per questo, ma sono anche cosciente che ho avuto fortuna nell’essere arrivata probabilmente al momento giusto. Credo che ci voglia rispetto ed umiltà nell’affrontare la carriera musicale: essere sempre pronti ad imparare da dagli altri e a rispettare il lavoro altrui. Cercare di dare il meglio di se stessi, esigere il meglio da se stessi. Certo sono stata fortunata, mi è stato dato un dono, e da parte mia c’è la responsabilità di averlo ricevuto, e di restituirlo agli altri nel miglior modo possibile. So che ci sono molte persone che vorrebbero fare ciò che a me è dato di fare, così come so che molte sono le persone che collaborano con me e lavorano per me. Bob Dylan, Ray Charles, The Rolling Stones sono di fatto, espressione e manifesto della cultura americana e sono diventati gli strumenti attraverso i quali si è mantenuta viva la tradizione del blues e del R&B. Ti senti in qualche modo anche tu detentrice di questa missione di conservazione della memoria? Il mio amore per il blues ed il gospel nasce principalmente dalle emozioni che certi artisti mi hanno regalato. Ovviamente sono anche affascinata dalla storia del blues e per questo ho piacere che chi ascolta le mie interpretazioni sappia chi le ha scritte ed in quale periodo e magari che ascolti anche le versioni originali, così da mantenere viva la tradizione. Il blues, il gospel ed il R&B sono espressioni musicali americane e, come americana, ne sono orgogliosa e mi sento onorata di essere stata influenzata da tanti grandi artisti americani. Voglio rendere omaggio al passato e contribuire alla tradizione attraverso le mie canzoni, quelle che scrivo. A quando un nuovo album di canzoni originali dunque? Questo è il mio quinto disco. Nei dischi precedenti la maggior parte dei brani era originale ed era per lo più scritta da me. Il prossimo disco sarà, spero, un disco “mio”. In realtà molto dipende dalla casa discografica. Voglio che la gente sappia che sono anche un’autrice e che compongo materiale originale. E quando tornerai ad imbracciare la chitarra, viste le tue indubbie capacità? Grazie per il complimenti… Per ‘Hope & Desire’ mi sono concentrata sul canto anche perché ho avuto il mio secondo figlio con qualche mese di anticipo sul previsto e non mi sentivo sufficientemente concentrata per suonare le parti di chitarra sul disco. L’idea era quella di registrare le mie in un secondo momento, ma poi, una volta ascoltato quanto registrato da Doyle [Bramhall II], ho ritenuto che non ci fosse bisogno di aggiungere altro. Dal vivo però stai pur certo che suonerò la chitarra su tutti i brani e spero anche che il mio prossimo disco sia più guitar oriented. Quanto le tue vicende personali hanno influito nella scelta dei brani del tuo ultimo disco; mi riferisco soprattutto a ‘Lord, Protect My Child’ Di Bob Dylan ed al fatto che, al momento delle registrazioni, avevi da poco partorito il tuo secondo figlio? È stata una coincidenza che io abbia ascoltato quella canzone, ma il fatto che io fossi incinta e che sentissi molto vicine a me le parole del testo ha in qualche modo fatto sì che fosse inclusa nel lotto delle canzoni da registrare. Credo che quella canzone abbia il potere di fare breccia nei sentimenti di molte persone, che abbia un messaggio universale. E credo che l’arrangiamento blues e gospel della mia versione amplifichi questa caratteristica. È anche un brano che ci offre un lato della personalità di Bob Dylan meno conosciuto, legato sicuramente alla tradizione blues, ma forse più dolce ed intimo. Mi piaceva l’idea di poter cantare una bellissima canzone meno conosciuta di Bob Dylan avendo la possibilità di renderla a sua volta “mia”, anche perché credo che nessun altro l’abbia registrata. Credo che nella musica di oggi manchi la dinamica, e questo perché sempre più spesso i dischi sono registrati senza avere fisicamente la band che suona insieme. Il tuo disco sembra andare in controtendenza Quello che senti sul disco è strato registrato live nello studio senza sovraincisioni, a parte i cori e i solo di Derek. Credo che sia anche per questo motivo che poi ho deciso di non incidere le mie parti di chitarra, per non alterare il suono generale del disco. Quanto alla dinamica, per me è fondamentale: mi piace suonare molto piano e poi dare una scarica di energia che faccia saltare il pubblico in piedi! La musica è come un dipinto: è fatta di tanti colori e sfumature; alcuni sono preminenti, altri sono solo accennati, ma non per questo sono meno importanti.
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