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Documentazione, curiosità e rispetto: il reporter oggi
Pierandrea Vanni, storica firma de La Nazione, illustra le sfide e l’impegno dell’aspirante giornalista in un ambiente profondamente trasformato.
FIRENZE - Essere giornalista oggi, le radicali mutazioni di un mondo di fronte al quale tanti aspiranti reporter si devono porre, ma anche l’impegno e la consapevolezza che questo ruolo richiede in tutti i suoi campi, più che mai nel delicatissimo racconto della cronaca e delle vicende politico e sociali di un paese. Sono questi i temi al centro della riflessione di Pierandrea Vanni, giornalista professionista da oltre trent’anni e capo redattore de “La Nazione”, da sempre impegnato a raccontare la cronaca fiorentina, forte di una grande esperienza e di un personale impegno nel sociale.
Lei ha un’esperienza nel giornalismo che va avanti dal 1974. Da quando iniziò saranno ovviamente avvenuti moltissimi cambiamenti, cosa, rispetto a quel periodo, è stato veramente rivoluzionato?
Innanzitutto, allora, l’unico strumento al centro del sistema giornalistico era la carta stampata mentre la tv e l’informazione televisiva pur già esistenti non avevano, in quantità e qualità, un ruolo preminente come oggi.
C’è stata di conseguenza una trasformazione profonda del mestiere di giornalista, e quindi una trasformazione profonda dell’informazione; non soltanto come quantità di informazione ma anche, evidentemente, del modo in cui viene fatta.
Ci sono stati veramente dei cambiamenti epocali: si va dall’enorme diffusione dello strumento televisivo, con la nascita delle televisioni locali e delle televisioni commerciali con un’offerta aumentata a dismisura, all’avvio di internet e del giornale online. Fino a toccare la crisi e il successivo rilancio dello strumento radiofonico, per un periodo alle prese con declino inarrestabile, che ha invece dimostrato di poter avere un proprio ruolo, anche nella società basata sull’immagine.
Di fronte a un’evoluzione così rapida quale è stata la reazione nell’ambiente del giornale vero e proprio?
Tutta questa serie di cambiamenti ha messo in crisi il quotidiano storico confezionato con precise caratteristiche. In seguito, alla prova dei fatti, la carta stampata ha retto e regge tuttora, anche se con qualche difficoltà. Certamente ha subito trasformazioni profonde, basti pensare alle dimensioni del quotidiano tradizionale che da giornale lenzuolo si è ridotto a tabloid e spesso a formati ancora inferiori. Non è un fatto irrilevante, perché la riduzione dei formati presuppone anche un cambiamento degli articoli, degli spazi e dell’impostazione generale.
Quindi si è avuto un processo di trasformazione che, evidentemente, ha messo a dura prova le aziende e gli stessi giornalisti, ed è un processo che non si è ancora concluso.
Nello specifico per un giornalista che inizia oggi a livello di formazione si è avuto un cambiamento radicale. Quali sono state le conseguenze?
In passato per tante generazioni di giornalisti la “scuola” è stata il giornale, frequentato come collaboratori o in altre forme. Oggi questo tipo di scuola non si fa più o si fa in maniera molto ridotta, pur restando a mio avviso fondamentale. C’è ormai una tendenza a privilegiare una formazione universitaria e postuniversitaria attraverso master e scuole di giornalismo. Sono sicuramente esperienze importanti. Non mi sembra, però, che si sia ancora trovato un surrogato all’esperienza che si faceva e in parte si fa tuttora all’interno della redazione.
Per esempio oggi la tendenza generale è quella di unire una laurea alle capacità professionali, per tanti anni non è stato così e tuttora la legge istitutiva dell’ordine giornalistico, del 1963, non richiede la laurea per accedere agli esami per diventare giornalisti professionisti.
Saranno però sopravvissute delle qualità personali che individuano la figura del buon giornalista.
Certamente questi sono stati cambiamenti rilevanti, ma restano ancora fondamentali doti personali, come il senso della notizia, la capacità di sintesi, la capacità di comprendere consapevolmente la delicatezza di questo mestiere. Non bisogna mai dimenticare coloro a cui ci riferiamo. Quindi i lettori per cui scriviamo e i protagonisti di vicende, anche negative, delle quali trattiamo.
L’approccio deve essere sempre quello di avere un grande rispetto dei protagonisti diretti e indiretti della cronaca quotidiana.
Venendo alla sua professione, lei è sempre stato legato al mondo della cronaca e dei servizi politici. Nel scegliere questo campo cosa l’ha affascinata?
Ho sempre pensato che la cronaca sia, veramente, una grandissima scuola.
La cronaca è la vita quotidiana di una città, piccola o grande che sia: quindi tocca simultaneamente tutto ciò che accade nella comunità stessa di persone. Seguire quotidianamente questa realtà e queste esperienze di vita in una città importante ed affascinante, allo stesso tempo piena di contraddizioni, come Firenze è stato per me impegnativo, ma soprattutto ricco di grande interesse.
Per tanti anni, poi, mi sono dedicato all’informazione politica, sia per passione personale, sia perché, nonostante le insoddisfazioni e le degenerazioni che spesso crea e determina, la politica è sempre una risposta ai problemi della società. Parlarne, per un giornalista, è una sfida importante e allo stesso tempo impegnativa. Nel senso migliore del termine, quindi riferita al funzionamento delle istituzioni e al mondo con il quale ci dobbiamo confrontare quotidianamente, è sicuramente molto interessante e mi è sempre piaciuto viverla dal suo interno.
Per il cittadino spesso la politica, se non porta addirittura ad un vero e proprio disinteresse, provoca delusione. Un giornalista, per avvicinare il lettore a questo mondo, in che maniera si deve porre?
Certamente, nell’indice di gradimento del lettore, la politica è agli ultimi posti e sconta il senso di sfiducia che il cittadino ha nei confronti dei partiti e dei loro esponenti. Quindi non è facile raccontarla, non è facile riuscire a spiegare che la politica non è solo per gli addetti ai lavori.
Io credo che il buon reporter debba raccontare i fatti della politica senza retorica o furbizie, cercando di interpretarla calandola nella realtà quotidiana e considerandola in tutti i suoi aspetti.
Oggi inoltre prevale spesso l’aspetto del gossip e questo interessa maggiormente il pubblico; pensare l’eco che ha avuto sulla stampa quotidiana e sui mezzi di informazione televisiva lo scambio di lettere tra Veronica Lario e il marito dimostra come certi aspetti della sfera privata delle persone siano purtroppo prevalenti. Tutto ciò accade in ogni parte del mondo; la candidatura di Hillary Clinton negli Stati Uniti suscita più interesse e attenzione per le vicende sentimentali del marito che per le doti della candidata. Lo stesso sta accadendo in Francia per la campagna elettorale di Segolene Royal.
Certamente la politica non può essere disgiunta dalla persona o dai suoi protagonisti, però è anche e soprattutto un’altra cosa.

con Elisabetta Perron
Lei è impegnato in prima persona nel sociale e in campo politico nazionale e internazionale. Per chi scrive di cronaca e di politica, l’impegno sociale è solo qualcosa in più oppure è quasi imprescindibile?
Io ho sempre pensato, con una concezione un po’romantica e forse superata, che il giornale fosse il modo per parlare alla gente e, possibilmente senza enfasi e retorica, contribuire a dare risposte.
Per tanti anni mi sono occupato di sanità e di strutture sanitarie, quindi di risposte e anche di carenze che venivano poste di fronte alle necessità dei cittadini. Personalmente ho sempre visto nel giornale la possibilità non solo di mettere a nudo le inefficienze e le cose che non andavano, ma anche di cercare di richiamare l’attenzione perché venissero date risposte a questi problemi.
Il giornale inteso come mezzo a disposizione e al servizio dei cittadini è quindi anche uno strumento sociale.
Per questo ho sempre visto tra l’impegno professionale e quello sociale una vera e propria continuità. Ovviamente quando si scrive per un giornale bisogna avere la consapevolezza di rivolgersi ad una grande platea di lettori e cittadini. Bisogna avere molto senso della misura, equilibrio, responsabilità e, soprattutto, grande professionalità.
In conclusione può dare un consiglio a chi si appresta a intraprendere oggi la carriera di giornalista ed indicare un valore del quale, nel proprio percorso professionale, non si può fare a meno?
Un consiglio che posso dare è quello di avere tante curiosità, di interessarsi anche ai piccoli fatti della vita quotidiana, cercando di capire, di rendersi conto, di trovare spiegazioni. Può sembrare una banalità ma secondo me è qualcosa di molto importante.
Al tempo stesso avere il supporto di un’esperienza graduale è indispensabile per capire il ruolo di chi fa informazione, senza essere condizionati e garantendo la propria autonomia; giornalista oggi è un termine forse un po’ desueto e i giornalisti, anche per propria colpa, non godono di buona stampa e di grande fama nel nostro paese. Questo perché in Italia si fanno poche inchieste, si scava poco, ci si attiene molto all’ufficialità, si hanno vari timori reverenziali, siamo in parte condizionati dal potere politico e, forse ancora di più, dal potere economico.
Credo che un valore fondamentale in questo lavoro sia il rispetto per i lettori e i protagonisti della cronaca. Nel perseguire questo obiettivo il giornalista deve bandire la superficialità e l’approssimazione con le quali si possono solamente fare dei danni a sé stessi e, soprattutto, agli altri. Per questo è necessaria la documentazione, bisogna sempre cercare di scrivere basandosi su cose documentate e verificate.
MATTEO VANNACCI
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