I Giardini di Mirò salgono sul palco come se stessero arrivando al circolo Lenin per farsi una partita a carte. E da veri figli della loro generosa terra aprono il concerto nello spesso fumo del palco e sembra che la musica esca dalla nebbia senza nessuna sorgente vera e propria. L’atmosfera che si viene a creare è subito rilassata e di complicità. Per un attimo sembra essere tornati indietro di dieci anni, quando i gruppi parlavano con il pubblico per renderli partecipi, quando ti dicevano che loro avevano un banchetto con i cd -e finché lo dicono una volta è carino…-, che erano contenti che ci fosse il pienone e il posto, l’essere lì, abbia un senso.
È l’inizio del tour di Dividing Opinions e tutto sembra filare liscio. La prima parte della serata è ad appannaggio dei pezzi del nuovo album. Nell’esibizione dal vivo i brani vengono privati di un po’ di parti elettroniche e non ci perdono affatto, sostenuti da tante buone distorsioni e riverberi vari, chitarre taglienti e batteria tuonate che dio la comanda. Riescono a creare una bella atmosfera, cosa non così facile come possa sembrare, fatta di un tutt’uno con il galleggiare a mezz’aria delle trame strumentali e delle aperture belle, dove convivono felicemente tromba e violino e iMac, ma fatta anche di una presenza scenica discreta, di quella sospensione di luci, suoni e figure, che lasciano al pubblico la dolcezza dell’attesa. Infatti è come se da un momento all’altro stia per succedere qualcosa, qualcosa di prezioso. Nel legare i vari brani si lasciano trasportare da tessiture sonore -qualcuno tra il pubblico fa il nome Marlene Kuntz, non sapendo, magari, che quelle chitarre soniche non sono affatto indigene nel nord del bel paese: dove saremmo andati a naufragare senza i santissimi Sonic Youth dico io-, che coinvolgono chi li ascolta, prolungando ancora l’atmosfera. Due rimango le scelte opinabili per la serata romana dei Giardini di Mirò. La prima è il lasciare le voci molto, troppo basse, impantanate nei vortici degli strumenti e la seconda è che pur sentedosi chiaramente l’entrata di uno strumento, non si riesce a coglierne l’uscita, mancando così l’appuntamento con l’effetto di “vuoto” che nei dischi tanto bene invece viene reso. Ma questo non leva assolutamente nulla al bel concerto che è stato, anche se alla fine un ora e venti di musica non lascia pienamente soddisfatti ma al Circolo degli Artisti dopo la mezzanotte l’ingresso è sempre e comunque libero, perciò…- perché ti aspetti sempre di più da un gruppo come loro.
Forse nel disco si nota di più la nuova(?) via intrapresa nell’ultimo lavoro, ma dal vivo tutto parte dai giardini di mirò e tutto confluisce nei giardini di mirò.
Pierluigi di Stefano
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