Una stanza bianca, un letto, due finestre con vetri opachi, un lavandino, una porta di metallo arrugginita. Una tavola senza colore, una natura morta, un vuoto senza vita.
Questa la gabbia, la prigione, a prima vista di Vincent Van Gogh. Recluso nel manicomio lager di Saint - Paul de - Manson in Provenza.
Il manicomio ed il ritratto dell’internato del famoso pittore vanno oltre l’individualità. La rabbia del personaggio, il rancore che rivolge agli altri, ai medici, agli infermieri aguzzini, al fratello ed infine a sé stesso, sono sentimenti universali.
Dirà il protagonista: “Quando scopri che la mente ti può ingannare allora il filo si spezza”, il dubbio s’insedia, cosa esiste e cosa non esiste? Il fratello Teo ci sembra vivere in scena, ma esiste davvero?
Anche lo spettatore così inizia a dubitare delle cose che vede. La prigione forse non è quella esterna, ma si trova dentro, dentro la testa, la mente che diventa la sola ed unica nemica.
Interessanti ed efficaci scenografie: nebbiose come lo è una mente appannata, bianche come il vuoto di un disegno senza colore, aperte all’esterno in un corridoio senza fine; rendono lo spettacolo ancor più vivo ed impressionante.
La magistrale interpretazione degli attori, in particolare Mauro Malinverno e Fernando Maraghini, mai eccessivi e sempre intensi, incorniciano un quadro di sicuro valore.
“Nessuno alla fine conosce sé stesso, chiunque può restare in balia dei propri pensieri” (Stefano Massini).
Azzurra Becherini
Prossime date:
Teatro Nuovo Napoli, dal 9 al 18 marzo
Teatro India Roma, dal 21 al 25 marzo
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