Tre anni dopo il grande successo de "La Malavita", il quarto album in studio dei Baustelle, secondo con la Warner, era atteso nell’ambiente musicale italiano in maniera quasi spasmodica. Forte l’interesse per la band di Montepulciano, tante le speranze riposte, molte le voci dopo il successo dell’estate, Bruci La Città, cantata da Irene Grandi, ma opera del frontman Francesco Bianconi.
Dopo aver ascoltato “Amen”, tuttavia un po’ di delusione si insinua. Sostenere che sia un passo falso sarebbe esagerato, tuttavia la differenza dalla Malavita si sente. Meno ispirati e troppo criptici i testi, meno toccanti ed attuali i temi trattati, meno affascinante il suono dell’album. Coraggiosamente, questo va detto, la band si cimenta con uno stile parzialmente differente, più elettronico e tecnologico. Il suono è pieno e a tratti innovativo, manca tuttavia il fascino noir della fatica precedente.
Il fatto è che il disco inizia alla grande con tre ottimi pezzi e poi si perde progressivamente in un livello che certi professori direbbero senza infamia e senza lode. “Colombo” e “Il Liberismo ha i giorni contati” sono due brani in antitesi, il primo rappresenta l’affarismo sfrenato di veri e propri squali, il secondo, miglior pezzo di Amen, è una tragica pagina voltata sopra i sogni giovanili, sopra le lauree, sopra la precarietà. È un quadro di disperazione urbana, e suona splendidamente.
La terza hit iniziale è invece il singolo, “Charlie fa il Surf”. Stroncato dalla critica per la vena proto punk adolescenziale è un brano che in sostanza è stato incompreso. Vorrei morire a quest’età, le parole iniziali della canzone, fanno il verso ad I hope I die before I get old agli Who di My Generation, il cui testo, diciamocelo, non era proprio fine poesia. In ogni modo in Italia si piange spesso sulla musica che non riesce a toccare le corde del rock diretto e talvolta brutale d’oltremanica, quando tuttavia questo avviene l’alzata di scudi è generale. Buon singolo comunque, e non capirne l’ironia che in fondo lo pervade vuol dire averlo ascoltato una volta, distrattamente.
Con queste tre canzoni, a dire il vero, il disco potrebbe finire. Il resto è, a tratti pretenzioso (Baudelaire, Alfredo), a tratti semplicemente noioso ( L ). Qualcosa si salva va detto, “Panico!” ad esempio sfiora gli ottimi livelli di partenza.
“La Vita Va” in fondo la potrebbe cantare nuovamente Irene Grandi. “L’uomo del secolo” ha un riff da Franz Ferdinand, si perde però in una coralità che nei concerti farà furore, ma su disco non affascina più di tanto.
Lodevole, poi, il tentativo operato in chiusura con l’avvio etnico di “Ethiopia” che man mano sfuma nell’elettronica da discoteca, la quale fa da sfondo ad “Andarsene Così”. I Baustelle rock, in ogni modo, suonano meglio.
Amen è un disco che ha diviso la critica italiana, detrattori feroci lo hanno praticamente stroncato. Altri, entusiasti, hanno paragonato l’album addirittura a certe opere di De Andrè. Il paragone con il maestro, tuttavia, fa comprendere perché questo sia un discreto album, ma allo stesso tempo un passo indietro rispetto all’opera precedente. Se Faber con poche parole riusciva ad esprimere concetti inarrivabili, testi interi dei Baustelle sono, anche dopo molti ascolti, praticamente incomprensibili nel loro messaggio.
Paradossalmente, uno dei testi più belli è quello di “Spaghetti Western” relegata come ghost track. Ottimo brano sociale è tra i migliori del disco anche sul piano musicale, con la collaborazione veramente speciale di Alessandro Alessandroni, il “fischio” di Per un pugno di dollari. Peccato che se ne stia nascosta e per trovarla si debba fare skip all’indietro partendo dalla traccia 1. Quantomeno bizzarro.
Matteo Vannacci
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Track List
1. E così sia
2. Colombo
3. Charlie fa surf
4. Il liberismo ha i giorni contati
5. L'aeroplano
6. Baudelaire
7. L
8. Antropophagus
9. Panico!
10. Alfredo
11. Dark Room
12. L'uomo del secolo
13. La vita va
14. Ethiopia
15. Andarsene cosi
Ghost Tracks:
1. Spaghetti Western
2. No Steinway |