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Mamme, colombe e sedie
(a margine di Sanremo 2008)
“L’industria discografica ha sempre vissuto una contraddizione, perché è interessata alla merce in termini di profitto ma ha anche a che fare con l’arte, che non è una merce e non è prodotta con l’intenzione di ricavarne profitto. Non so proprio come si possano conciliare le due cose senza che si crei conflitto”.
Questo si chiedeva Bob Thiele, storico produttore nordamericano, dirigente per parecchi anni della Impulse. La sua riflessione era giustificata dal fatto che aveva a che fare con gente come John Coltrane, Oliver Nelson, Sonny Rollins ecc. ed evidentemente non poteva immaginare che in Italia c’era e c’è tuttora il Festival di Sanremo i cui organizzatori e responsabili, a giudicare dai risultati degli ultimi anni, a tutto pensano fuorché conciliare l’arte con il profitto.
Partendo da questo assunto eccoci di nuovo a dover ripetere stancamente ma con convinzione l’ovvietà secondo la quale senza buone canzoni nessuna manifestazione musicale può decollare o lasciare il segno, malgrado sia gonfiata, sponsorizzata e imbrilluccicata allo spasimo per farla sembrare importante e indispensabile.
Per dire a che punto siamo si può citare una circostanza riferita ad un settore che, pur essendo di nicchia, ha tuttavia a che fare con la musica ed è una delle cartine di tornasole dei successi o dei tonfi delle canzoni proposte sul mercato.
Si sta parlando delle edizioni musicali e dei fascicoli da queste stampati per la gioia dei musicisti, professionisti o dilettanti, che vogliono lavorare o divertirsi suonando i loro motivi preferiti.
Bene, fino a tre anni fa uno di questi fascicoli era la raccolta delle canzoni di Sanremo: nessuno vuole oggi perdere tempo e soldi per stampare questo album perché, visto che di canzoni buone non ne uscivano più, i musicisti non hanno più comperato la raccolta e ci sono stati resi clamorosi che hanno convinto gli editori a rinunciare all’iniziativa e a rivolgersi ad altri tipi di proposte.
Sappiamo che da più di cinquant’anni, in parte giustamente, si fa dell’ironia sulle mamme e sulle colombe, ree di aver avallato e favorito l’instaurarsi di uno stile melenso e retorico.
Vero è tuttavia che quello che abbiamo ascoltato nei Festival più recenti, nonostante il linguaggio più moderno e i temi a volte fortemente impegnati, non sembra che abbia lasciato un segno altrettanto forte nell’immaginario nazionale.
E, per amore di equità, non dimentichiamoci che quelli erano i momenti e che se l’evoluzione è arrivata poi, soprattutto per merito dei cantautori, quando i tempi e il pubblico sono maturati, anche prima, per chi avesse voluto respirare altra aria c’erano stati gli sberleffi di Pippo Starnazza, lo swing alla milanese di Rabagliati e quello più evoluto di Natalino Otto ed Ernesto Bonino, seguiti nel tempo da Ray Martin, Paolo Bacilieri ed il Quartetto Cetra, per non parlare di Buscaglione, Carosone, Bruno Martino e così via.
Non per niente già nel ’58 ai primi posti delle classifiche nostrane c’erano “Come prima” di Dallara, “Boccuccia di rosa” di Dorelli, “Caravan petrol” di Carosone, “You are my destiny” di Anka, “Little darling” dei Diamonds, “Buonasera signorina” di Prima e tanti altri brani che rappresentavano una svolta già in atto, perciò quando Modugno nello stesso anno stravolse il Festival con la sua “Volare” non era di certo un caso isolato e sembra perciò evidente che le mamme e le colombe andavano incontro al gusto di un pubblico vasto ma non rappresentativo dell’Italia di allora: piano dunque a parlare di periodo oscuro.
Detto questo, dopo aver ascoltato le canzoni di Sanremo di quest’anno si deve ammettere che un certo miglioramento rispetto agli anni precedenti c’è stato ma, bella forza, al punto in cui eravamo non ci voleva molto.
Auguriamoci comunque che questo sia il segnale di una ripresa che rinfranchi un mercato sempre più in difficoltà, convincendo gli addetti ai lavori e gli appassionati che c’è ancora speranza e che vale tuttora la pena di ascoltare e sostenere la musica di casa nostra.
Con questo auspicio nel cuore facciamo un bel sogno ad occhi aperti, nel quale i direttori artistici e i produttori prendono di nuovo coscienza del loro ruolo e si decidono a spingere soprattutto quello in cui credono e che piace a loro, senza rincorrere le mode e senza proporre solo ciò che assomiglia alle musiche che vanno in classifica.
Ma può essere che questo rimanga un sogno dal momento che, visti i tempi che corrono, per chi ha una sedia sotto il sedere spesso la paura di perderla è più forte del coraggio di sostenere le proprie idee.
Con buona pace di Bob Thiele.
Rinaldo Prandoni
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