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AA. VV. - A tribute to James “Yank” Rachell
(Yanksville Records)
www.yankrachell.com

Non tutte le ciambelle riescono col buco. E la stessa cosa vale per i tributi. Possono anche essere concepiti con le migliori intenzioni ma, vuoi per l’estrema eterogeneità degli artisti coinvolti, vuoi per l’enorme quantità di musicisti implicati, spesso e volentieri i tribute album non convincono pienamente. E anche questo sentito tributo al leggendario mandolinista blues Yank Rachell, da parte della comunità musicale di Indianapolis, la città in cui il grande musicista risiedeva, non fa eccezione. Non che il disco non sia foriero di ottime esecuzioni, ma ciò non toglie che l’album sia colmo di brani che sembrano inseriti più per valore affettivo che per la loro reale efficacia. Il cd si apre con un buon country blues tinto di bluegrass (forse un po’ troppo) eseguito senza infamia e senza lode da un grande del mandolino contemporaneo Tim O’ Brien. Siamo piuttosto lontani dallo spirito di Yank Rachel e dalle sue strepitose performance chicagoane al fianco John Lee “Sonny Boy Williamson”, ma l’esecuzione è comunque e assolutamente impeccabile. Va un po’ meglio, ma solo un po’, con la successiva “Shotgun blues” in cui Rich Del Grosso ci regala un funky blues non disprezzabile. Del Grosso è un ottimo mandolinista ma la sua voce baritonale ha più detrattori che estimatori. Il brano viene salvato sul finale da un bell’interplay, quasi gospel, tra mandolino e organo. Eviterei ogni commento sulla traccia numero tre che sembra eseguita da una delle tante bar band che suonano nei mille club dell’America rurale. L’esecuzione ha un non so che di routinario e la registrazione piuttosto informale certo non aiuta. E spesso in questo tributo è la qualità delle registrazioni a fare la differenza. Ne è un esempio lampante la song numero quattro “Moonshine whiskey” che vanta un’ottima armonica e un bel solo di mandolino assolutamente penalizzati però da un missaggio a mio avviso frettoloso e da una produzione non curata a dovere. Il cd per fortuna non ha solo ombre ma anche parecchie luci. “Tappin’ that thing” eseguita live da David Grisman e John Sebastian è un’ottima canzone, ben suonata e ben cantata. Se a questo aggiungiamo la divertente e divertita storia che precede il brano e in cui Sebastian racconta del suo incontro con lo stesso Rachell, quello che ne viene fuori è una grande performance da parte di due grandi che non potevano deludere. E non l’hanno fatto. Da lì in poi è un continuo saliscendi di emozioni. Inutile quindi a questo punto soffermarci sui brani che non ci sono piaciuti. Più interessante, invece, segnalare quelli che più abbiamo apprezzato. E non sono pochi. Tra questi c’è sicuramente “My baby’s gone” splendidamente cantata da Andre Faye (delle celebri Saffire) che si accompagna con proficuità anche al mandolino e contrabbasso; “Sitting on top of the world”, che Yank Rachell suonava sui marciapiedi di Memphis negli anni trenta del secolo scorso in compagnia di Sleepy John Estes e Hammie Nixon, qui magnificamente cantata e suonata da Peter Rowan e Lowell Levinger con uno stile laid back assolutamente apprezzabile. Una piacevole sorpresa da parte di uno dei più famosi bluegrass pickers, che qui sembra davvero conoscere a menadito tutte le nuances del blues, segno inequivocabile che i grandi non si semtiscono mai. E, a proposito di grandi, stupenda è la versione che Mike Seeger (fratello del più famoso Pete) dà di “Deep Ellam blues”. Un’esecuzione da brividi per voce e mandola che da sola vale l’acquisto dell’intero cd. Non male neanche la successiva e acustica“My mind got back” con la voce di Karen Irvin a ricordarci (ed è un complimento) quella di Rory Block e degna di nota anche la bella “Blues little tune” scritta da Stanley Smith e dedicata alla vita del grande Yank. Tra le altre esecuzioni che più ci hanno colpito c’è quella di Orville Johnson davvero bravo sia alla chitarra che al mandolino ma in possesso di una voce un po’ stralunata e sopra alle righe che ha suscitato non poche perplessità in chi scrive; e poi una versione a dir poco strepitosa di “Brownsville blues” in cui il mandolino di Jim Richter fa davvero scintille. Verso la fine del cd si fa notare anche Curtis Tipton con una “Wadie Green” in cui spiccano l’armonica di Allen Stratyner e il mandolino (appartenuto allo stesso Rachell) di Mike Butler. In chiusura del disco merita una menzione particolare “Lake Michigan blues” interessante brano in minore, sospeso e ipnotico, che ci ricorda molto da vicino alcune cose di Cassandra Wilson. A cantare la canzone, Sheena Rachell, nipote del mitico Yank, putroppo ammalata di una rara malattia polmonare e alla quale andrà parte del ricavato raccolto da questo album. Pensateci e cercate questo disco su www.yankrachell.com

Fabrizio Poggi

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